Riforma del lavoro: un buon compromesso?

Prendo spunto da un altro tema affrontato nella trasmissione Rosso&Nero del 19 luglio cui ho partecipato per fare alcune riflessioni sulla riforma del lavoro, divenuta efficace a partire da mercoledì 18 luglio.

La legge Fornero si propone lo stesso obiettivo che il legislatore, da tempo, insegue con risultati fin qui non sempre brillanti e, spesso, deludenti come dimostrano le criticità del nostro mercato del lavoro. L’obiettivo era e resta quello di contrastare il ricorso al lavoro irregolare, riuscendo a indirizzare le imprese verso forme capaci di coniugare le esigenze di tutela con i fabbisogni di flessibilità. Per esempio la legge Biagi aveva, a suo tempo, cercato di contrastare l’uso improprio delle collaborazioni autonome sottoponendole a un progetto e a un termine di durata (le cocopro); il fabbisogno di flessibilità era stato, invece, soddisfatto attraverso una moltiplicazione dei rapporti che consentivano all’impresa di assumere temporaneamente. Questa soluzione ha avuto pregi e difetti: non è riuscita l’operazione di limitare l’uso irregolare delle collaborazioni autonome e di quelle a partita Iva e la flessibilità del lavoro è stata gravata da complessità troppo elevate e fonte di contenziosi. Senza, peraltro, riuscire a sviluppare contratti di lavoro, come quello di apprendistato, che avrebbero potuto consentire alle imprese di investire nella formazione dei giovani.

Con la nuova legge, in primo luogo, la flessibilità non è più concentrata nella fase di entrata, ma riguarda anche la dismissione del lavoro. Ad esempio, il contratto di somministrazione di lavoro a termine potrà essere stipulato senza dover addurre una causale per una durata massima di 12 mesi. Le imprese potranno, quindi, ricorrere alla somministrazione in modo semplificato, traendo il massimo vantaggio da un efficace strumento di flessibilità messo a disposizione dalle agenzie del lavoro. Pur con le note complessità la reintegrazione nel posto di lavoro prevista dall’articolo 18 è divenuta la sanzione residuale del licenziamento illegittimo che viene punito, in via prevalente, indennizzando il dipendente che ha perso il posto e non più con il ripristino del rapporto. Bisogna però dire che il tabù dell’articolo 18 con le regole sulle sanzioni in caso di licenziamento illegittimo è stato scalfito, non abbattuto come in un primo tempo prometteva il Governo Monti, intenzionato a cambiare, prima ancora che le regole, soprattutto la cultura del lavoro. La reintegrazione continuerà a operare, ma solo nelle ipotesi tassativamente previste dal legislatore: quando il fatto per cui il licenziamento è avvenuto non sussiste o quando tale fatto è previsto dal contratto collettivo tra le infrazioni disciplinari punite con una sanzione conservativa. Tutto ciò non solo rende prevedibili per le imprese i costi della dismissione del lavoro, ma incide sui poteri gestionali del datore, rafforzandoli.

Ritornando al tema della flessibilità del lavoro, in primo luogo va segnalato che il contratto a termine consente all’impresa di assumere temporaneamente un lavoratore per un massimo di 12 mesi, senza dover indicare la ragione che giustifica l’apposizione del termine. Un adeguamento alla direttiva europea in materia di lavoro a tempo determinato che, da molto tempo, si attendeva e che, da una parte, favorirà l’assunzione dei giovani e, dall’altra, ridurrà il vasto contenzioso giudiziario in materia di assunzioni a tempo determinato. Un contenzioso che si è sviluppato perché l’assunzione a termine era consentita solo per ragioni produttive, organizzative o sostitutive la cui identificazione è stata ed è oggetto di divergenti interpretazione da parte dei giudici; come, del resto, accade tutte le volte che il legislatore formula norme elastiche o generali che, inevitabilmente, vengono riempite di contenuto dalla giurisprudenza, con esiti imprevedibili e con un’incertezza applicativa inaccettabile in quanto genera costi del tutto improduttivi. Ma questo nuovo processo del lavoro “accelerato” dedicato ai licenziamenti, senza fase transitoria e senza nuove risorse a disposizione, rischia di ingolfare i tribunali. Il nuovo rito prevede tempi più stretti per ogni fase processuale ma raddoppia gli step di giudizio, con la quasi certezza che aumenteranno i carichi di lavoro e i costi dei tribunali. Introdurre una corsia preferenziale per i licenziamenti, poi, rischia di allungare i tempi di attesa per tutte le altre cause di lavoro. Il quadro dei contenziosi pendenti e la situazione di difficoltà di molti tribunali italiani, in realtà, era già noto, anche agli estensori della riforma. Incidere sui tempi del processo è sembrata la soluzione migliore per ottenere più rapidità, ma l’impatto della riforma va monitorato attentamente, per evitare che il nuovo rito crei più problemi di quanti ne risolva.

Un’altra falla nella legge sul lavoro è proprio quella della mancata parità di trattamento tra dipendenti privati e pubblici soprattutto nella parte che riguarda il licenziamento. Pubblici dipendenti e lavoratori privati restano mondi distinti, rimanendo un qualcosa che per decenni ha squilibrato queste due tipologie di rapporti di lavoro. Una lacuna di una legge che prometteva esiti epocali senza averli mantenuti poichè, giorno dopo giorno, si è dovuta piegare a esiti sempre più prosaici e compromissori imposti da una coalizione così tanto eterogenea da rappresentare interessi opposti e non componibili.

C’è anche da considerare il sistema contributivo, che non ammette scorciatoie. La pensione sarà una variabile legata ai contributi versati (rivalutati in base all’andamento del Pil), il che deve da subito far riflettere sulla necessità di rafforzare il secondo pilastro, quello della previdenza complementare. Più in generale, il modello di riferimento continua a basarsi su una figura di lavoratore che nella realtà, almeno in quella che stiamo conoscendo e abbiamo conosciuto in questi anni, esiste sempre meno. Quanti saranno i giovani che potranno contare su 38-40 anni di contribuzione “piena”? Le attuali dinamiche occupazionali ci dicono piuttosto che il lavoro sarà, per molti, ancorché non per tutti, sempre più frazionato, spezzettato, con periodi di copertura previdenziale che si alterneranno a periodi di assenza di copertura. E questo sarà, in prospettiva, un problema. Perché gli effetti positivi dell’allungamento della permanenza al lavoro, in termini di maggior importo delle prestazioni, saranno di fatto vanificati dalla discontinuità dei versamenti. Un aspetto non proprio secondario che pone una pesante incognita, soprattutto per i giovani.

La riforma Fornero rappresenta, quindi, tirando le somme, un compromesso migliore rispetto alla precedente legge Biagi?

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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