Giovani e disagio sociale

È drammatico il dato sulla disoccupazione giovanile nel nostro Paese. Un giovane su tre è senza lavoro, con prospettive incerte anche sull’immediato avvenire. Impegnarsi per creare opportunità ai giovani è compito prioritario nell’agenda delle cose da fare, come ha riconosciuto con chiarezza il presidente Monti.

Mai come in questo momento si richiede la massima collaborazione alle famiglie, alla scuola, alla società civile e alla comunità ecclesiale, alle imprese e ai sindacati, alle amministrazioni locali e alle agenzie che operano sul territorio al servizio del bene comune.

Bisogna scommettere sulle capacità dei giovani: ad essi non dobbiamo solo chiedere di trasmetterci un’emozione, ma anche di aiutarci a pensare, di proporci delle sfide, di farci valutare senza ambiguità le difficoltà dell’impresa.

Come ricorda il Corriere della Sera, qualche anno fa, agli albori della grande crisi, la Commissione europea organizzò un seminario sulla dimensione sociale e la legittimità democratica dell’Ue. Vennero illustrati alcuni sondaggi che mostravano un’allarmante crescita dell’insicurezza economica e del disagio sociale dei cittadini e, quel che è peggio, una perdita generalizzata di fiducia sulla capacità dell’Ue di fornire soluzioni concrete. Segmenti importanti delle opinioni pubbliche nazionali anzi attribuivano a Bruxelles la responsabilità della crisi già iniziata.

Populismi di destra, massimalismi di sinistra, difficoltà crescenti dei partiti di governo a mantenere la rotta europea, sostegno popolare nei confronti della Ue ai minimi storici: l’ondata è pronta a colpire nelle prime elezioni utili molti Paesi, compreso il nostro.

Molti politici nazionali hanno giocato un ruolo di primo piano nell’alimentare il fuoco populista. Per anni hanno scansato la necessità di operare riforme impopolari (pensioni, mercato del lavoro, liberalizzazioni), demandandole a Bruxelles e Francoforte. Quante volte abbiamo sentito dire: dobbiamo farlo, ce lo chiede l’Europa? Per un po’ il gioco è riuscito, ha effettivamente attutito l’opposizione di elettorati recalcitranti al cambiamento. Ma al prezzo di erodere, riforma dopo riforma, il sostegno verso un’Unione presentata sempre più come un “poliziotto”, quasi una maniaca del rigore per il rigore. Sfortunatamente, a causa di un complesso di ragioni non tutte europee, i vantaggi delle riforme già fatte tardano ad arrivare.

Opportunità per i giovani, lotta alla povertà, nuovi investimenti in un “sociale” che porti insieme più inclusione e più crescita (istruzione, ricerca, servizi): queste le tematiche su cui insistere e formulare proposte puntuali. Moltissimi spunti sono già sui tavoli di Commissione, Parlamento e persino Bce. Pensiamo, ad esempio, all’obbligo da parte di ogni governo di offrire formazione, lavoro o tirocini a tutti i giovani che finiscono la scuola. Oppure all’idea di vincolare i Paesi a dotarsi di uno schema di reddito minimo di inserimento, entro un quadro di regole definite a Bruxelles. Si potrebbe anche considerare la proposta di un vero e proprio sistema di incentivi e penalità per Paesi che non rispettino obiettivi comuni in termini di povertà relativa, rendimento scolastico, politiche di conciliazione e di parità e così via.

Difendere l’euro e far ripartire la crescita restano obiettivi imprescindibili. Ma il loro perseguimento non preclude certo l’impegno su fronti che hanno una visibilità e un impatto più diretto sulla vita quotidiana degli europei. E’ necessario far emergere una Ue più impegnata a proteggere i più deboli, tramite un programma accattivante sul piano simbolico e davvero convincente sul piano pratico.

Voi che dite?

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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