L’Italia Vi è debitrice

Come passa inesorabile il tempo… eppure me lo ricordo benissimo quel tragico momento… Seduto tra i banchi di scuola delle elementari, avevo intuito che era successo qualcosa di veramente grave, ma non capivo bene di cosa si trattasse…

A vent’anni dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio si ripropone nelle nostre menti quella che è la violenza nei suoi estremi. La prima strage avviene il 23 maggio 1992 dove a perdere la vita sono il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta fatti saltare in aria con 5 quintali di tritolo sull’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi a Palermo presso l’uscita per Capaci.

Cinquantasette giorni dopo, il 19 luglio, in via D’Amelio a Palermo, Paolo Borsellino, magistrato impegnato anch’esso nella lotta contro la mafia, stava andando a trovare la madre ma 100 chili di tritolo uccidono lui e 5 uomini della sua scorta tra cui una donna.

Sabato 19 maggio 2012 rimarrà un’altra data indimenticabile, oltre a quelle già citate, per una Nazione intera: il lutto è nazionale. Così si spengono gli occhi meravigliosi di Melissa, ragazza di soli sedici anni, piena di fiducia nel suo futuro e piena di sogni nel cassetto come ogni adolescente, con ancora tutta una vita davanti come quella di Veronica, dei feriti e di altri studenti.
Melissa non può più realizzare i suoi sogni. La giovane frequentava l’Istituto professionale Falcone Morvillo… un caso? Vent’anni dopo una strage, accade davanti all’Istituto che porta il nome delle due vittime della strage di Capaci come se la criminalità voglia tornare a farsi sentire, questa volta con una nuova modalità e se si può dire ancora più orribile. Con che coraggio si può colpire i giovani? Non esiste vergogna più grande! La scuola rappresenta un baluardo in difesa della legalità e forse proprio per questo la criminalità ha paura, paura di un movimento di ribellione che sta coinvolgendo tutti, troppi… per la mafia!… E se non fosse stata la mafia, ma risultato di una progetto eversivo o l’azione di un folle?

Resta comunque il fatto che noi giovani costituiamo il futuro della nostra Nazione e siamo noi a dover protestare tutti insieme uniti. L’unione fa la forza e la ribellione fa paura. Giovanni Falcone ci ha lasciato un messaggio di speranza: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine“.

In certi punti commuovente è stato il discorso del nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quando ha sottolineato che “la mafia e le altre espressioni della criminalità organizzata restano un problema grave per la democrazia da perseguire con la più grande determinazione e tenacia”. Soprattutto quando, rivolto ai giovani, li incita a scendere in campo  perché “la complessità dei problemi da affrontare impone uno sforzo di coesione costante non solo di fronte a questioni emergenziali, come quello della mafia”. E conclude con un appello rivolto agli stessi giovani, incitandoli di scendere al più presto in campo per rinnovare la società e la politica.

E il premier Monti giustamente afferma che “la loro vita è stata un no all’illegalità; un no alla corruzione; un no al ricatto; un no alla logica dello scambio; un no all’inganno di chi promette per poi addossarne ad altri la responsabilità. La loro vita è stata un sì alla giustizia; un sì all’impegno gratuito; un sì alla verità. Tutti loro sapevano di rischiare la vita, lo avevano messo lucidamente nel conto delle possibilità. Giovanni Falcone scelse di fare il magistrato a Palermo combattendo seriamente Cosa nostra, studiando quali norme e quali tecniche investigative e quali norme avrebbero fatto più male alle mafie, individuando nell’utilizzo delle indagini economiche e dello strumento dei collaboratori di giustizia le chiavi che, insieme ad una innovativa organizzazione degli organismi inquirenti della magistratura, avrebbero permesso di colpire Cosa nostra in profondità”.

A distanza di vent’anni è ancora viva la rabbia per quelle vite spezzate senza che qualcuno o qualcosa fosse intervenuto a cambiare il corso di quei tragici eventi. Ma alla rabbia d’allora, corrisponde oggi un senso di fiducia e ottimismo nella lotta alle mafie. Perché è possibile ora toccare con mano la reazione positiva innescata da quel sacrificio umano. Si comprende perché questi uomini intesero offrire agli italiani e allo Stato le loro vite nelle vesti di garanti della giustizia. Chissà come sarebbe contento di sapere che questo seme da loro piantati in vita, oggi sia cominciato a germogliare in ogni parte d’Italia.

Nei giorni di commemorazione della strage di Capaci rifletto su come la società civile italiana e i media abbiano agito quando Giovanni Falcone era in vita. Rifletto su quanto abbiano isolato, attaccato, morso, cercato di abbattere Giovanni Falcone e chi portava avanti insieme a lui, anche sensibilizzando l’opinione pubblica, innescando un cambiamento culturale, esponendosi in prima persona, un lavoro che era difficile, lento, pericoloso.
Fu attaccato Falcone come se chiunque avesse talento e capacità, ambizione di realizzare qualcosa, fosse un naturale bersaglio di sospetti. Come se ci fosse una sorta di congiura dei mediocri pronti a isolare chi è capace e costringe gli altri a migliorarsi. Spesso si preferisce sostenere il mediocre che non innesca nessuna forma di cambiamento, che lascia le cose come stanno.
Giovanni Falcone seppe resistere al fango come nessun altro. La Sinistra lo accusava di essere un carrierista narciso, la Destra di essere un comunista che usava politicamente la magistratura. Molti colleghi erano infastiditi che nonostante in tanti si occupassero e anche bene di mafie, solo Falcone fosse il simbolo in Italia dell’antimafia. I politici lo accusavano di tener nascoste nei cassetti delle carte su delitti eccellenti. Intere paginate contro di lui accusato di aver “usurpato la fama di giudice antimafia” perché erano gli altri a fare il lavoro e lui a mettere la firma.
Accusato di mostrarsi nei luoghi degli agguati solo dopo che fossero arrivate le telecamere, di avere scorte rumorose e numerose a spese dei contribuenti. Che era amico dei socialisti, che aveva deciso di collaborare con il Governo Andreotti accettando l’incarico proposto da Claudio Martelli per potersi arricchire. Che si era venduto per fare carriera. Che amava la ribalta delle copertine. Che era un “guitto televisivo” che faceva concorrenza ai comici per quante volte decideva di andare in televisione. Sino a dire che non rischiava nulla e che l’attentato all’Addaura se l’era organizzato da solo per far accrescere la sua fama.
Accuse continue per screditare un uomo che era riuscito a comprendere più di altri e prima di altri il potere del capitalismo criminale e come la democrazia italiana fosse già compromessa dal potere mafioso.
L’odio vero verso un talento raro, verso un rigore che speravano di poter compromettere. A tutto questo ha resistito Giovanni Falcone, una resistenza che ha dell’incredibile.

Anche oggi c’è un clima di tensione in questo Paese che obbliga tutti noi ad una riflessione. La strage di Capaci riporta al centro dei nostri pensieri l’importanza delle risposte che uno Stato in certe situazioni deve essere in grado di dare. La mafia è ancora presente anche nei nostri territori dove continua a fare affari. Anche al Nord.

Siamo all’ultima chiamata per la politica e le istituzioni di creare un rapporto di credibilità e interlocuzione con un mondo giovanile mai così distante dal mondo della politica. E questo può e deve avvenire anche dalla lotta alla malavita organizzata che è più forte quando la politica è debole e la democrazia è pallida. In questi 20 anni molte cose sono state fatte, dalla la confisca dei beni alle cooperative di lavoro, passando per l’azione concreta delle carovane antimafia, di Libera, dei progetti sulla legalità e la giornata della memoria, ma molto resta da fare, a partire da uno Stato che si deve riappropriare delle sue funzioni, creando i presupposti per lo sviluppo, la crescita, il lavoro.

Spetta a noi, soprattutto nuove generazioni, continuare sulla strada dell’impegno alla legalità, prosciugando e inaridendo il terreno di coltura nel quale la mala pianta delle mafie si diffonde.

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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