I segnali che il Paese attende

C’è sempre un motivo “istituzionale” o di “prassi” per giustificare la paralisi indotta dalla tempesta perfetta che blocca l’azione politica in queste ore, in questi giorni, in questi quasi due mesi. Per eleggere le commissioni serve la saldatura del rapporto fiduciario tra Camere che votano la fiducia a un Governo e poi creano i corpi operativi per l’attività legislativa; per cominciare le votazioni del nuovo presidente della Repubblica occorre attendere i tempi della scadenza del semestre bianco durante il quale l’attuale capo dello Stato non può agire sul Parlamento; né può dimettersi per accelerare l’avvicendamento, pena la perdita totale di punti di riferimento per un Paese già considerato border line dagli osservatori internazionali.

E dai mercati, soprattutto; da quel “luogo geometrico dei punti di vista” di migliaia di speculatori che da mondo astratto diventa concretissimo quando sposta montagne di miliardi fino a schiantare le finanze di intere Nazioni. Non inganni la bolla di ieri e la seduta da incorniciare a Piazza Affari; non fa pensare a nulla di buono il fatto che da ieri siano ricominciati i rumors su un Paese ancora a rischio contagio.

C’è sempre un motivo “istituzionale”, dunque, ma sta diventando sempre più forte l’idea che quel motivo sia solo un’affabulazione fallace di un “sistema” ostile ai cittadini e esso stesso diventato problema. È la pericolosa fascinazione grillina che tanto soggioga le menti dei “soldati bambini” del M5S (i più adatti all’indottrinamento, i più spietati nella guerra perché la fanno per gioco). Ma per disinnescarla, quella fascinazione, servono atti concreti e soprattutto soprassalti di senso civile e civico; di senso dell’onore e della responsabilità nazionale. L’abboccamento tra Bersani e Berlusconi è un timido, timidissimo segnale in questa direzione. Ma servirà molto di più. Anche perché l’immobilismo costa: almeno un punto di Pil finora. E se il Pil non cresce si allarga il rapporto tra prodotto e deficit e debito e, dunque, aumentano i vincoli per le azioni di politica economica “espansiva”.

L’Italia sembra un Paese sotto sortilegio, cristallizzato e immobile mentre viene divorato dalla paura e dalla disperazione che prende le forme della “tragedia della dignità” di Civitanova Marche; delle urla e delle bombe carta dei commercianti napoletani contro la ztl; degli incredibili accoltellamenti tra ragazzini; della bomba alla Stampa con il suo retroterra di legittimazione della violenza come mezzo della politica. E poi le rapine in villa di piccoli o grandi balordi e i colpi a effetto come le rapine al furgone portavalori con tanto di autostrada bloccata e di tir incendiati.

I segni della disgregazione sociale di un Paese che non trova più le forme classiche di compensazione proprie della cultura italiana – dalla famiglia, al circolo, all’associazione – si accoppiano ai dati dell’economia senza più ossigeno. Le imprese sobbalzano come pesci fuori dall’acqua. Il nostro «contatore della crisi» oggi segna che 66 imprese hanno chiuso i cancelli. Naturalmente se chiudono le aziende aumentano i senza lavoro che sono già pericolosamente vicini al 12% del totale degli occupabili.

Il 2013 non sarà l’anno della svolta; lo speravamo, ma i dati non hanno confortato volontà e ottimismo anche se il dato di crescita annunciato dal Governo è più positivo di ogni outlook pubblicato finora dai principali centri studi. Perderemo ancora produzione e occupati e il debito, moloch che finora ha bloccato ogni azione di politica economica, salirà al 130,4%. Sono i numeri del Def presentato ieri da Mario Monti che ha parlato di conti finalmente sotto controllo e di «pareggio strutturale di bilancio confermato».

Se i conti sono sotto controllo è bene facilitare ancora di più la procedura di erogazione della prima tranche di oltre 18 miliardi di pagamenti dei debiti contratti dalla pubblica amministrazione verso i propri fornitori (il decreto ministeriale che ieri ha sbloccato i primi 10 va nella direzione di accelerare i tempi ma non cambia le procedure). L’iter proposto dal decreto per avere effettivamente gli agognati denari non è di facile agibilità per le centinaia di migliaia di imprese creditrici. Il testo è ora in Parlamento e sarebbe un bel segnale se le Camere lo semplificassero ulteriormente: darebbe anche l’idea che l’immobilismo glaciale in cui sembra versare il “Paese della politica” si possa scalfire e, anzi, modificare radicalmente. Prima si sbloccano quei primi 18 miliardi, meglio è per l’economia. E questo sarebbe il primo dei segnali di cui l’Italia ha bisogno.

Un altro potrebbe essere l’elezione del Presidente della Repubblica al primo scrutinio: sarebbe un soprassalto di dignità pubblica e di sintonia con l’opinione pubblica. Un modo per la politica di stupirci.

Così come sarà un segnale di forte impatto se i saggi del Quirinale venerdì davvero produrranno progetti articolati (e già oggetto di mediazione tra scuole di pensiero diverse) sulla legge elettorale, sui temi della riforma fiscale per liberare lavoro e impresa dal giogo delle tasse, sul welfare che manca, sulle liberalizzazioni e sul lavoro.

Il resto lo devono fare i partiti che gli italiani hanno votato. Anzi, più che i partiti gli uomini di quei gruppi che oggi bloccano il Parlamento. Al Paese un Governo serve. E un Governo sarà trovato. Sarà tanto più facile quanto più, chi ne faccia parte, sappia spogliarsi di ruggini e partigianerie. Ancora una volta il Paese sta vivendo una fase di transizione, un Medioevo dove le forme e le formule della politica nate come protezioni dei deboli e delle minoranze sono oggi considerate – in parte a ragione – paccottiglia ad uso della casta: se i traghettatori avranno come bussole la dignità personale e l’onore del Paese il lavoro sarà facilitato. Le cose da fare sono note perché per l’economia di un Paese in “codice rosso” il protocollo e la terapia sono sempre le stesse.

Quando il paziente tonerà sano ci potremo permettere il lusso di dividerci su quale debba essere il rapporto tra Stato e mercato, tra cittadino e società, tra pubblico e privato, tra ricchezza e povertà. Per adesso all’Italia non è concesso il privilegio delle divisioni ideologiche o post-ideologiche sull’idea di futuro e sulla “visione del mondo”. C’è solo un tragico presente, la drammatica urgenza di rimboccarsi le maniche. Per sopravvivere.

Articolo tratto da “IlSole24Ore”

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
Questa voce è stata pubblicata in Articoli tratti da quotidiani e contrassegnata con , , , , , . Contrassegna il permalink.

I commenti sono chiusi.