La riforma del lavoro

La legge Fornero si propone lo stesso obiettivo che il legislatore, da tempo, insegue con risultati fin qui non sempre brillanti e, spesso, deludenti come dimostrano le criticità del nostro mercato del lavoro. L’obiettivo era e resta quello di contrastare il ricorso al lavoro irregolare, riuscendo a indirizzare le imprese verso forme capaci di coniugare le esigenze di tutela con i fabbisogni di flessibilità.

Per esempio la legge Biagi aveva, a suo tempo, cercato di contrastare l’uso improprio delle collaborazioni autonome sottoponendole a un progetto e a un termine di durata (cosi sono nate le cocopro); il fabbisogno di flessibilità era stato, invece, soddisfatto attraverso una moltiplicazione dei rapporti che consentivano all’impresa di assumere temporaneamente. Questa soluzione ha avuto pregi e difetti: non è riuscita l’operazione di limitare l’uso irregolare delle collaborazioni autonome e di quelle a partita Iva e la flessibilità del lavoro è stata gravata da complessità troppo elevate e fonte di contenziosi. Senza, peraltro, riuscire a sviluppare contratti di lavoro, come quello di apprendistato, che avrebbero potuto consentire alle imprese di investire nella formazione dei giovani.

Con la nuova legge, in primo luogo, la flessibilità non è più concentrata nella fase di acquisizione, ma riguarda anche la dismissione del lavoro. Pur con le note complessità la reintegrazione nel posto di lavoro prevista dall’articolo 18 è divenuta la sanzione residuale del licenziamento illegittimo che viene punito, in via prevalente, indennizzando il dipendente che ha perso il posto e non più con il ripristino del rapporto. La reintegrazione continuerà a operare, ma solo nelle ipotesi tassativamente previste dal legislatore: quando il fatto per cui il licenziamento è avvenuto non sussiste o quando tale fatto è annoverato dal contratto collettivo tra le infrazioni disciplinari punite con una sanzione conservativa. Tutto ciò non solo rende prevedibili per le imprese i costi della dismissione del lavoro, ma incide sui poteri gestionali del datore, rafforzandoli. Un risultato che, peraltro, è stato conseguito con un limitato dissenso sindacale. Ma ciò che più rileva sono alcune (non tutte, purtroppo) soluzioni della legge Fornero di semplificazione della flessibilità del lavoro.

In primo luogo va segnalato il contratto a termine acausale che consente all’impresa di assumere temporaneamente un lavoratore per un massimo di 12 mesi, senza dover indicare la ragione che giustifica l’apposizione del termine. Un adeguamento alla direttiva europea in materia di lavoro a tempo determinato che, da molto tempo, si attendeva e che, da una parte, favorirà l’assunzione dei giovani e, dall’altra, ridurrà il vasto contenzioso giudiziario in materia di assunzioni a tempo determinato. Un contenzioso che si è sviluppato perché l’assunzione a termine era consentita solo per ragioni produttive, organizzative o sostitutive la cui identificazione è stata ed è oggetto di divergenti interpretazione da parte dei giudici; come, del resto, accade tutte le volte che il legislatore formula norme elastiche o generali che, inevitabilmente, vengono riempite di contenuto dalla giurisprudenza, con esiti imprevedibili e con un’incertezza applicativa inaccettabile in quanto genera costi del tutto improduttivi. Anche il contratto di somministrazione di lavoro a termine potrà essere stipulato senza dover addurre una causale per una durata massima di 12 mesi. Le imprese potranno, quindi, ricorrere alla somministrazione in modo semplificato, traendo il massimo vantaggio da un efficace strumento di flessibilità messo a disposizione dalle agenzie del lavoro.

Tratto da IlSole24Ore

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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