Chi sono i veri complici?

Il triangolo della morte, che fa da guardia al sistema fondato su alte tasse e alta spesa, è composto dalla infrastruttura amministrativa (la burocrazia dei ministeri, degli enti parastatali e locali, le magistrature, amministrative e non), dal sindacalismo del pubblico impiego e dalle tante lobby che campano di spesa pubblica. I partiti politici ne sono i complici. In parte ne subiscono il ricatto, in parte sguazzano nello stesso stagno: se la spesa pubblica venisse ridotta e razionalizzata, dovrebbero dire addio a un bel po’ di clientele. Pensate a cosa accadrebbe nei mercati elettorali locali se venissero abolite le Province con annessi e connessi o unificati i Comuni al di sotto dei cinquemila abitanti o posto mano a una riforma della sanità all’insegna della efficienza.

Nel disegno delle misure che il governo propone di attuare si intravede il tentativo di risparmiare soldi riorganizzando il servizio così da garantire la sua erogazione senza perdita di quantità o di qualità. Se l’intervento sarà ben gestito verranno preservati i servizi correnti e ne aumenterà anche la qualità. Ridurre il numero delle province è cosa utile semplicemente perché sono in eccesso: le persone che vi lavorano, quelle che hanno amor proprio, trarranno beneficio dal sapere di lavorare in enti che svolgono una funzione rilevante per la collettività anziché in strutture superflue. E un migliorato senso di identificazione dei pubblici dipendenti con l’ente di appartenenza è uno dei meccanismi per accrescere la produttività del lavoro e migliorare la qualità del servizio offerto. I pubblici dipendenti dovrebbero essere i primi sostenitori di queste riforme.

Rimangono tuttavia alcuni problemi. Primo, i tagli di spesa, proprio perché hanno piena efficacia solo se accompagnati da una riorganizzazione della macchina dello Stato, sono un processo non una decisione una tantum presa da un governo con una vita residua di 12 mesi. Questo chiama in causa il problema della continuità della politica che il governo sta intraprendendo e quindi quello della configurazione della prossima legislatura. Assieme alle riforme strutturali, i tagli di spesa sono quanto di più politico possa esserci e quindi quanto di più ostico da implementare per una maggioranza politica.

Secondo, questi tagli avvengono in una particolare congiuntura: la peggior recessione del dopoguerra in una situazione di fragilità finanziaria che, in parte, richiede quei tagli come segno della volontà del paese di intraprendere la via del risanamento fiscale in via permanente. Questo non concede margine alla scelta del quando farli: ora. Rimane il rammarico per non averli fatti anni addietro quando le condizioni del ciclo economico erano migliori. Ma nella politica di casa nostra sembra aver prevalso il principio che è meglio posporre a domani quello che dovresti fare oggi, se farlo oggi ti costa qualcosa indipendentemente da quanto potrà costare domani a chi dovrà fronteggiare il problema.

Chi però giudica solo i partiti come responsabili non si avvede di quanto sia forte, ramificato e organizzato il blocco di potere a guardia della spesa pubblica. Così forte e ramificato da avere i suoi santi protettori anche dentro il governo Monti (dove infatti c’è conflitto fra l’ala liberale e l’ala statalista).

Va notato che i movimenti di protesta che sorgono periodicamente possono anche inveire contro le tasse ma non propongono di ridurre la spesa. Persino la Lega, che agli esordi aveva impugnato la bandiera della rivolta fiscale, in seguito si mise a difendere tutto ciò che era «pubblico» e spesa pubblica nelle regioni del Nord.

Resta solo il «vincolo esterno» europeo: solo l’Unione Europea potrebbe avere la forza per indebolire la spesa pubblica e per imporci una seria riduzione delle tasse. Nonostante i dubbi, è forse l’unica speranza.

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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