Le prossime elezioni si terranno quasi sicuramente nella primavera del 2013. È quasi un anno. E non è un anno qualunque. Pensare di occupare questo tempo a discutere degli scenari del dopo-voto è il modo migliore perché nel dopo-voto ci si debba impegnare in una liquidazione fallimentare e non nel rilancio italiano.
Nei prossimi mesi l’Italia sarà ancora sul banco degli imputati dei mercati internazionali ed entro Natale prossimo dovranno essere collocati ancora titoli pubblici. Non sarà per nulla facile. Il declassamento di Moody’s avvenuto qualche giorno fa, per quanto discutibile, è un segnale di quello che ci aspetta. Già agosto, come spesso accade, potrebbe essere un mese durissimo per la tenuta dei nostri tassi di interesse.
Il modo migliore, da parte dei partiti per non sprecare tempo è dimostrare in queste ore-giorni-mesi, non tra un anno, su quali riforme e quali politiche si punta per evitare che l’Italia si avviti in una crisi senza uscita.È bene dire, anche nelle sedi internazionali, che quando toccherà ai partiti si proseguirà sulla linea del rigore dei conti, ma ancor meglio sarebbe dire come. E ancora di più sarebbe meglio, molto meglio, che dall’altra parte Silvio Berlusconi non costruisse la sua sesta (sesta!) candidatura a premier sullo slogan del «cancelleremo l’Imu», senza poi dire come pensa di sostituirne le mancate entrate. Quella del rigore, e della crescita, è una strada stretta, che comporta sacrifici e scelte impopolari. Non c’è rigore a costo zero. Non ci sono tagli di spesa che non provochino reazioni e resistenze. Non c’è stimolo alla crescita che non implichi anche rinunce per qualcuno.
Il cambio di passo del Governo Monti, rispetto a un decennio di immobilismo, è stato caratterizzato prorpio dal farsi carico del rischio di impopolarità di molte scelte. Mettendo in atto un programma ampio di riforme e cercando di mantenere uno sguardo lungo, che puntasse al bene dell’Italia e non all’immediato tornaconto elettorale. Questo è il vero capitale su cui, chiunque governa o governerà, deve continuare a scommettere.
Le prossime settimane, allora, diventano, forse, una straordinaria occasione per dimostrare questa capacità. Chi ha idee e proposte buone deve tirarle tiri fuori. Non è scritto da nessuna parte che i partiti che sostengono un governo tecnico debbano solo dire sì o no alle sue proposte. Quei partiti hanno la possibilità e la responsabilità di proporre politiche utili al Paese. La legislatura è tutt’altro che finita. C’è per esempio da avviare sul serio il programma di dismissioni, che per ora suona come poco più di un annuncio. Va valutata la possibilità di abbattere il debito attraverso le privatizzazioni o altre strade più ardite. Va rilanciato quel credito di imposta per gli investimenti in ricerca che per ora è stato accantonato. Vanno messe in campo idee per dare un segnale di fiducia e di vicinanza ad imprese che sono davvero con le spalle al muro.
C’è bisogno di politica. Ma perché non suoni come una dichiarazione vuota, l’invocazione va accompagnata dal fare politica. Una buona politica. Più politiche, più riforme, più interventi concreti, meno dibattito ideologico, meno spirito di fazione, meno ingegnerie coalizionali. Se lo spazio temporale che si vorrebbe cancellare sarà occupato così, sarà un bene non per il Governo Monti, ma per l’Italia. E sarà un bene anche per i partiti, che potranno dimostrare nella pratica riformista di essere pronti a mettere in atto una propria agenda per il Paese. Un’agenda che affondi le proprie radici sulla responsabilità che questo Governo ha, a fatica, rimesso insieme.