Chi visita l’Italia in questo periodo si confronta con la descrizione di un Paese stremato, forse anche oltre quella che è la realtà osservabile. Questo clima di disillusione non va sottovalutato. Le previsioni economiche in caso di recessione non sono mai precise, perché in condizioni eccezionalmente severe le aspettative delle imprese e delle famiglie non sono lineari, ma tendono a procedere per salti. Il rischio da evitare è che la depressione, che è diventata linguaggio comune nel confronto politico e nella sfera pubblica, si trasformi in realtà.
Per evitare questo rischio è necessario che la politica aiuti ad ancorare le aspettative dei cittadini a un futuro ragionevole. Una parte fondamentale è quella che spetta al negoziato con i partner dell’area euro per la soluzione della crisi europea. Ma una parte non meno importante riguarda l’Italia. Chi vuole assumere una responsabilità di Governo nel 2013 ha il dovere di prefigurare un futuro positivo per il Paese e di prepararsi con coerenza per realizzarlo.
Ogni giorno, in effetti, sempre di più i partiti italiani sono in movimento nel loro posizionamento elettorale, ma senza mai formulare una proposta di contenuto. Il dubbio è che non ne siano veramente in grado. Il loro linguaggio è ormai esclusivamente negativo, come se sapessero solo corteggiare il sentimento di disillusone dei cittadini, anziché convertirlo in energia costruttiva. Anche ora che la politica italiana è stata costretta dal presidente del Consiglio a confrontarsi con il problema dell’appuntamento elettorale del 2013 e con l’incertezza che deriva per il Governo del Paese, la risposta viene cercata nella solita scelta tra personalità taumaturgiche, o in innovazioni nel confezionamento dell’offerta politica o in cambiamenti della legge elettorale. Non un minuto viene dedicato a progetti seri per il Paese, a proposte per la ricostruzione della capacità produttiva delle imprese e a impegni per la difesa del reddito dei lavoratori e delle loro famiglie.
Il compito che sta strenuamente compiendo Mario Monti viene visto solo sotto una luce critica, sottovalutando l’aggiustamento che ormai non riguarda più solo i saldi del bilancio pubblico in via di equilibrio strutturale, ma anche i segnali di aggiustamento dei conti con l’estero evidenziati dal recente rapporto del Fondo monetario.
Sarà stato il calo dell’economia a deprimere le importazioni e sarà stata la disoccupazione a far crescere marginalmente la produttività, ma le bilance con l’estero italiane sono oggi meno preoccupanti che nel 2011. Essendo anche il bilancio pubblico sulla strada del pareggio strutturale, il Paese è in condizioni di maggiore stabilità rispetto a molti altri. Nonostante ciò, tra il 2012 e il 2014 l’aggiustamento fiscale sarà ancora di cinque punti di Pil. È evidente che anche il prossimo governo sentirà il peso della correzione degli squilibri fiscali. Non avrà alternativa alla “sobrietà“. Sarebbe logico dunque assistere a una competizione elettorale sul tema: chi è capace di far crescere l’Italia osservando i vincoli che ci tengono legati all’Europa. Ma c’è da scommetterlo, il tema della crescita, troppo complesso, verrà aggirato per contestare invece i vincoli europei solleticando il nazionalismo latente in molti elettori.
La produzione industriale italiana è di un quarto al di sotto del livello di fine 2007. Dopo cinque anni di inerzia nelle politiche industriali, questa perdita di capacità produttiva è diventata strutturale. Non basterà attendere la ripresa della domanda estera per riportare in vita quegli investimenti perduti e quei posti di lavoro che non esistono più. Lavoro e investimenti vanno spostati verso nuove attività in grado di sfruttare i mercati di esportazione, visto che la domanda interna rimarrà debole ancora per anni. I segnali sull’attività produttiva nel resto dell’eurozona sono meno negativi del previsto e la debolezza del ciclo mondiale è destinata a rientrare una volta che l’Europa sarà stata capace di risolvere i propri problemi. Se i partiti sentono la vertigine elettorale attrarli irresistibilmente, ebbene comincino a fare proposte.
La spending review che è stata avviata, sufficiente o meno che sia, è un esempio di politica di bilancio amica della crescita perché apre spazi per ridurre le tasse o per migliorare la spesa, ma in fondo è anche un’occasione perché i partiti si sfidino tra loro con proposte alternative su cos’altro tagliare nella spesa pubblica italiana. È indicativo che si sentano pochi suggerimenti. Difficile dunque che la prossima campagna elettorale si manifesti con una competizione su chi ha le forbici più affilate. Così come le liberalizzazioni necessarie non entreranno nel dibattito del prossimo anno se non per criticare quelle tentate da Monti quest’anno.
Il clima distruttivo del discorso politico renderà difficile qualsiasi proposta: abolire alcune deroghe fiscali, per esempio, diventerà un bersaglio per i profeti anti-tasse perfino se servisse a finanziare il taglio indispensabile delle tasse sul lavoro. Purtroppo la crisi europea offre un diversivo molo attraente per tutti i tipi di populisti e c’è da scommettere che si continuerà a parlare più di Angela Merkel che delle scelte italiane.