Non vanificate l’effetto crescita

Il Fondo monetario che denuncia come l’ampliamento dello spread «si trasmetta rapidamente» sulle condizioni di finanziamento delle aziende. Il Governo che, nelle stesse ore, rinvia l’atteso decreto sui pagamenti alle imprese dei debiti della pubblica amministrazione. Il Parlamento che, su impulso dei Cinque stelle, esclude la possibilità di dare una corsia privilegiata in Commissione speciale proprio a quel decreto.

È in questi tre scatti l’ennesima fotografia dei giorni paradossali che stiamo vivendo. Con una crisi economica che richiederebbe interventi immediati e una politica che gira a vuoto, bloccata dalle contraddizioni in cui essa stessa si è infilata (e un po’, per la verità, ce l’abbiamo infilata anche noi elettori). Difficile, in giornate così, non dare ragione a chi, come Matteo Renzi, la dice semplice semplice: «La politica perde tempo, mentre il mondo ci chiede velocità doppia».

Con quasi 80mila imprese manifatturiere perse in cinque anni e una media nell’ultimo anno di mille aziende che chiudono ogni giorno, lo scandalo dei circa 100 miliardi che lo Stato deve al sistema delle imprese non può protrarsi un’ora di più. Perciò il decreto che il Governo ha annunciato va fatto subito, ma va anche fatto bene. Perché un provvedimento che, da un lato, apre parzialmente e tra mille ostacoli al pagamento verso le imprese dei debiti pregressi e, dall’altro, “strozza” quelle stesse aziende sui lavori futuri non serve a nessuno. E rischia di vanificare l’effetto di spinta sulla crescita economica che il ministero dell’Economia stima in 1,2 punti di Pil.
Se queste ore che il Governo si è preso serviranno, dunque, a modificare i punti più deludenti della prima bozza del decreto, il rinvio deciso ieri potrebbe anche rivelarsi utile.

Un primo passo nella giusta direzione è certamente l’annunciata cancellazione del raddoppio dell’addizionale Irpef delle Regioni. Avrebbe significato un possibile aumento delle tasse, già nel 2013, di oltre 1.300 euro per redditi di 40mila euro, e di 660 euro per chi guadagna 20mila euro. Una “mattata”. Che però qualcuno, in qualche stanza del ministero dell’Economia (non quella del ministro), deve aver pensato e anche scritto in un testo pronto per il Consiglio dei ministri. La nuova tassa, comunque, è stata sventata. Bene così.
Per trasformare la bozza di decreto in un buon decreto, però, questa modifica non basta.

Un altro rischio da sventare è quello del sostanziale blocco, per gli enti che si avvalgono dei prestiti dello Stato, degli investimenti nei prossimi cinque anni. Sarebbe una vera beffa, per le aziende, poter contare su un pagamento che gli spetta da anni e vedere contemporaneamente bloccate le commesse future. Si muore di crediti non esigibili, ma anche e soprattutto di una domanda che non c’è più.

Effetti altrettanto recessivi possono avere altre misure previste a copertura degli interventi individuati, dal rimborso delle somme ottenute da parte degli enti locali, al pagamento degli interessi su queste somme, fino ai tagli lineari ai ministeri che ancora una volta rispuntano per far fronte alla maggiore spesa per interessi.
E ancora: troppo vaga è la garanzia che i fondi erogati dalle Regioni ai Comuni siano effettivamente destinati al pagamento dei debiti alle imprese; poco chiara è la quantificazione e la ripartizione delle risorse previste; scarsa la trasparenza sui debiti che vanno pagati; troppo complessi e disomogenei i meccanismi di liquidazione a seconda che il debitore sia una Regione o un Comune o un ministero.

Il provvedimento, nella sua versione originaria, contiene infine almeno 10 rinvii a decreti attuativi. Anche questo è un pericolo. Ripetutamente questo giornale ha sollevato il problema delle grandi riforme che rimangono sulla carta perché nessuno si preoccupa di approvarne i provvedimenti attuativi. Rinviare, ancora una volta, a norme successive un intervento urgente, come è questo, significa correre il rischio di vanificarlo del tutto.

Fate presto, fate bene. In fondo siamo sempre lì. Solo che, mese dopo mese, le imprese sono via via di meno e i disoccupati via via di più. E soprattutto siamo tutti un bel po’ più stanchi di una cattiva politica, che sembra giocare con le sorti del Paese, senza averne nessuna cura.

Articolo di Fabrizio Forquet, IlSole24Ore

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