Vent’anni dopo…

Vent’anni dopo: così Alexandre Dumas intitolò la continuazione del suo romanzo più famoso, I tre moschettieri . Vent’anni sono passati dalla crisi che distrusse la Prima Repubblica e ora ne stiamo attraversando un’altra che minaccia (o promette?) di distruggere la Seconda. Le somiglianze sono notevoli – almeno altrettanto forti che tra i due romanzi di Dumas – (e Claudio Petruccioli le passa rapidamente in rassegna sull’ultimo numero di QdR Magazine ). Anche nella prima crisi si era in presenza di un ingorgo istituzionale, la fine simultanea della legislatura e del settennato presidenziale. Anche allora i due leader che puntavano alla presidenza del Consiglio dovettero lasciare il posto ai loro vice: Craxi ad Amato ieri, Bersani a Letta oggi.

Anche nei primi anni Novanta le ragioni della crisi si presentarono come una insubordinazione sociale che travolse gli equilibri elettorali esistenti, allora Tangentopoli, oggi un discredito dei partiti che ha causato la perdita di 10 milioni di voti ai due poli del bipolarismo. E soprattutto, allora come oggi, la gestione della crisi è passata nelle mani del presidente della Repubblica, di Scalfaro negli anni Novanta e di Napolitano oggi.
Potrebbe però manifestarsi presto una differenza. Nel giro di pochi mesi i due grandi partiti di governo della Prima Repubblica capirono di essere spacciati: condizionare il governo secondo i vecchi metodi era un lusso che non si potevano più permettere. Insieme all’emergenza economica, da tutti percepita, fu questa circostanza che concesse ad Amato e più tardi a Ciampi la libertà di manovra di cui godettero. Oggi non sembra proprio che i due principali partiti della Grande Coalizione vogliano abbandonare un minuzioso controllo sul governo.

E la percezione dell’emergenza non è diffusa: le grandezze fiscali e finanziarie sembrano essere sotto controllo dopo la cura Monti e un attacco violento da parte dei mercati non è in vista. Di qui la scarsa volontà di arrivare a mediazioni rapide e severe sui tanti temi di riforma che il governo ha in agenda, il continuo sventolare di bandierine identitarie ed elettoralistiche da parte dei due (ex) poli. A questo si aggiunga che l’eventuale sfidante, il Movimento 5 Stelle, non sembra per ora in grado di presentare una piattaforma di governo minimamente credibile – anche questa una evidente differenza con gli anni Novanta – e, seppure ampiamente rappresentato in Parlamento, sembra tuttora legato ad una logica di movimento di protesta, autoescludendosi da alleanze e coalizioni.

Fino a quanto durerà questa situazione? I due grandi azionisti del governo si rifiutano di capire – Scelta civica l’ha capito – che la situazione economica e sociale è ancor più grave di quella dei primi anni Novanta, perché le riforme sono state differite per troppo tempo, il Paese è più povero e i condizionamenti internazionali più forti. Dubito che lo capiranno solo per lo stimolo nobile dell’interesse nazionale e Letta dovrebbe sempre ricordare loro la sua intenzione di non farsi logorare, dichiarata con chiarezza nel discorso di accettazione dell’incarico. Deve trasformare questa intenzione dichiarata in una minaccia credibile. Dunque definire scadenze per le principali riforme in agenda, sia quelle economiche sia quelle istituzionali: prendere decisioni e imporre che siano trasformate rapidamente in atti di governo. Se non è in grado di farlo, se il Consiglio dei ministri e i partiti non lo seguono, recarsi al Quirinale e rassegnare l’incarico.

Il presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica, agendo in tandem e con decisione, dispongono di un’arma potente per costringere i due ex poli riottosi a comportarsi come richiede l’interesse nazionale: una minaccia credibile di dimissioni. Per il presidente del Consiglio ho appena detto. Ma ancor più potente è la minaccia di dimissioni del presidente della Repubblica, anch’essa adombrata nel discorso di fronte alle Camere riunite.

Le dimissioni del presidente della Repubblica riaprirebbero i giochi e Berlusconi – cui molte cose possono essere rimproverate, ma non la mancanza di intelligenza politica – capirebbe subito che le cose possono andare assai diversamente da come sono andate la volta scorsa.

Tratto dal Corriere della Sera

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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