Uno shock per aiutare l’economia

Le politiche finanziarie degli ultimi mesi – sull’onda della grave crisi finanziaria – si sono concentrate su due fronti: contenimento del deficit pubblico e aumento del prelievo. Dal punto di vista dei cittadini, queste azioni hanno portato, da un lato, a una riduzione dei servizi pubblici o a un aumento delle tariffe e, dall’altro, a un forte crescita della pressione tributaria.

Il confronto del Sole 24 Ore fra spesa delle famiglie e redditi dichiarati fa riflettere. Con l’impoverimento della classe media (tradizionalmente la percentuale più significativa di contribuenti) parte dei consumi viene pagata intaccando risparmi accumulati negli anni passati o frutto di passaggi generazionali o utilizzando i proventi del risparmio che, soggetti a imposte sostitutive, non rientrano fra i redditi dichiarati. Inoltre questi scostamenti vengono utilizzati come uno degli strumenti per misurare la fedeltà dei contribuenti. Il contrasto all’evasione fiscale è uno dei pilastri su cui basare un’azione di governo. Ma fornire al cittadino garanzie di equità è imprescindibile per giustificare i sacrifici richiesti.

È necessario, quindi, un passo avanti. Gli studi economici confermano che la propensione all’evasione aumenta quando i livelli di tassazione crescono. E in periodi di forte crisi l’evasione può in alcuni casi costituire un ammortizzatore sociale, un grido di disperazione che nessuno sembra ascoltare. In questo contesto l’aumento dell’Iva dal 21% al 22% sembra insostenibile e alimenta seri dubbi sull’efficacia in termini di gettito. Come si può parlare di crescita e di rilancio se il settore pubblico assorbe ormai ben più del 50% del reddito nazionale senza essere in grado di fornire stimoli alla domanda aggregata? L’obiettivo della riduzione della pressione fiscale deve essere considerato prioritario e per realizzarlo, nell’attuale scenario di vincoli europei ed internazionali, non c’è altra strada di quella di una forte riduzione della spesa pubblica ispirata da criteri di equità (i tagli devono essere mirati salvaguardando le classi più deboli) e lungimiranza (investire su giovani, formazione, ricerca, ambiente e non su opere inutili). La «fase 2» della spending review dovrà tener conto di queste indicazioni e partire al più presto.

C’è poi la riforma del sistema tributario che oggi non sembra essere considerato una priorità. Colpire il cittadino con decine di prelievi, spesso sovrapposti, può avere il vantaggio di nascondere l’entità complessiva dell’onere ma porta a effetti controproducenti in termini di sentiment, creando una sensazione di continua oppressione e generando effetti negativi in termini di gettito. In questo modo si rischia di minare, anche nei contribuenti più corretti, quel senso di rispetto nello Stato che a fatica è sopravvissuto. Inoltre bisogna ripensare completamente il rapporto tra fisco e imprese. Oggi il tax rate, il carico di imposta effettivo, per le imprese italiane arriva a superare in alcuni casi il 50% del reddito prodotto e, considerando anche l’aspetto contributivo, si può sfiorare persino il 70%. L’armonizzazione delle aliquote d’imposta sulle società, che con il 27,5% della nostra Ires sembra in linea con i principali competitors europei, non ha alcun significato se restano così profonde differenze sulla determinazione della base imponibile.

La legislazione tributaria, basata su testi normativi varati da oltre 25 anni, è spesso troppo complessa, farraginosa, penalizzante e costituisce di per sé un fardello aggiuntivo. Inoltre è necessario fornire al sistema produttivo del nostro Paese un orizzonte definito del perimetro dei comportamenti corretti e va denunciato il ritardo con cui da anni si attende un’indicazione normativa sul concetto di abuso del diritto. Anche a seguito di alcune pronunce della giurisprudenza, sembra essere messa in discussione la certezza del diritto in campo tributario. La mancanza di chiarezza normativa su tematiche così importanti provoca senso di disorientamento e rischia di essere vissuta come mancanza di attenzione per un comparto vitale della nostra economia.
Una profonda semplificazione e un forte alleggerimento anche in termini di adempimenti vanno dunque visti come un intervento prioritario per evitare che continui a pesare sulle nostre imprese un gap concorrenziale con i concorrenti stranieri che già possono contare su un cuneo fiscale, un costo del lavoro e una produttività molto diversi dai nostri. In caso contrario i dati allarmanti su produzione industriale, numero delle nuove imprese, migrazione all’estero di quelle esistenti e nuovi investimenti internazionali continueranno a percorrere la strada del declino che ormai da anni sembra inarrestabile.

Né va dimenticato che la ricetta per ridurre la pressione fiscale non passa soltanto da un alleggerimento del carico tributario ma anche dal possibile aumento del reddito nazionale prodotto. Anche la sola forte semplificazione del sistema tributario potrebbe portare risparmi significativi nei costi delle imprese che si tradurrebbero in aumento di redditività e di competitività: una riforma dagli effetti spesso sottovalutati e davvero a costo zero.

Articolo tratto da IlSole24Ore

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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