Una commedia che deve finire

Non sarebbe la prima volta che l’Europa ritrova il proprio orgoglio quando il tempo sembra ormai scaduto. Fu così negli anni Novanta, dopo il fallimento del Sistema monetario, quando i leader europei trovarono la forza di far ripartire il progetto dell’euro. Oggi i rischi sono certamente maggiori. Ma sbaglia chi (come la maggior parte degli osservatori anglosassoni) già celebra il funerale della moneta unica e dell’intera costruzione europea.

Nei due anni passati gli europei hanno commesso una lunga serie di errori. Si sono illusi che bastasse qualche mese per trasformare in modo radicale la società greca: il risultato è stato la disgregazione sociale e, non sorprendentemente, la radicalizzazione politica. La Spagna ha gravemente sottovalutato la reale situazione delle sue banche. In Francia e in Italia i governi hanno colpevolmente minimizzato gli effetti della crisi sull’occupazione, soprattutto dei giovani. E quando era evidente che fosse necessario un salto di qualità nell’integrazione, ad esempio centralizzando la vigilanza bancaria, gelosie nazionali lo hanno impedito. Molti continuano a illudersi che la Banca centrale europea (Bce) possa, da sola, salvare l’euro: non capiscono che la qualità di una moneta non può essere superiore a quella della politica degli Stati che la emettono.
In questi due anni la grande assente è stata proprio la politica. Sempre un passo indietro rispetto ai mercati. Decisioni prese solo quando lo spread si allarga, e anche allora con un orizzonte sempre troppo breve.

Al G8 di Washington gli americani accuseranno l’Europa di porre a rischio, proprio per la sua incapacità di alzare lo sguardo, la fragile ripresa dell’economia mondiale. Al G8 seguirà, mercoledì prossimo, un vertice europeo. Grazie alla presenza fisica di leader nuovi – Hollande e Monti – e, in chiaroscuro, dei socialdemocratici tedeschi (vincitori di tutte le recenti elezioni) quell’incontro potrebbe essere l’occasione per una svolta.

L’euro può essere salvato solo se cominciamo a chiederci che cosa vogliamo sia l’unione monetaria fra dieci anni, quale grado di integrazione fiscale e politica dovrà accompagnarla, a che velocità è ragionevole pensare di poter procedere. E se a queste domande risponderemo evitando pericolose illusioni.
Gli Eurobond non servono a nulla, se non a diffondere l’illusione che i trasferimenti fiscali siano una comoda alternativa alle riforme. Servirebbe invece un Fondo europeo di garanzia dei depositi bancari (purché accompagnato dal trasferimento dei poteri di vigilanza alla Bce).

E non ci si deve illudere che si possa salvare l’Europa con le infrastrutture. Siamo pieni di autostrade in cui, per la crisi, non transita più nessuno. Davvero pensiamo che qualche chilometro in più possa riaccendere la crescita? Il presidente Monti punta sulla banda larga, che è già meglio delle autostrade. Ma davvero c’è bisogno di denari pubblici per finanziarla? Perché non usare invece delle nostre tasse, la Cassa depositi e prestiti, anziché impiegarla per ri-nazionalizzare Snam Rete Gas, un’azienda per la quale gli investitori internazionali farebbero la fila.
L’Europa deve avere uno scatto. Ma la spinta deve arrivare da ogni Paese. Altrimenti l’Europa diventa un alibi per restare fermi.

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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