Sono due i modi per avvicinarsi al prossimo appuntamento elettorale.
Il primo: chiudere gli occhi e accendere polemiche. Ne uscirà un qualcosa di nocivo, da Paese che ancora non comprende bene il significato ed il valore della parola “spread”. Sì, proprio quel termometro che misura la febbre finanziaria di una nazione.
Il secondo modo: aprire gli occhi ed entrare nel merito dei fatti e dei problemi. Rendersi conto della situazione italiana tra le più difficili della storia e tale comunque da riflettersi in Europa.
L’Italia è andata avanti per un verso e s’è bloccata dall’altro. Tredici mesi di governo dei tecnici capitanato da Monti si sono tradotti in un recupero di credibilità internazionale incisivo in termini di riduzione dello spread e di contributo alla stabilizzazione dell’eurozona. L’immagine del Paese è stata ribaltata ed in meglio.
Il forte rigore è stato caratterizzato dall’aumento della tassazione più che al taglio della spesa.
Con degli effetti collaterali. La domanda interna è crollata, i consumi sono a picco, la disoccupazione in aumento, il credito scarso, il sistema industriale sulle soglie di una pericolosa destrutturazione, la fiducia generale bassa, la ripresa non prima del 2014.
Un quadro del genere, sul quale gravano le ombre minacciose dell’incertezza politica, può essere oggetto di valutazioni diverse e tutte rispettabili. Si può sostenere che la flessione dello spread e la rapida messa in sicurezza del Paese non si sarebbe potuta raggiungere se non a prezzo di una paurosa pressione fiscale.
Occorre far ripartire un Paese fermo in termini di produttività e fiducia e che ha nel settore manifatturiero un punto di forza che non può essere lasciato alla deriva.
Niente promesse a vuoto, niente personalismi, nessuna formula magica da promettere.
Solo proposte chiare e realizzabili, all’insegna del buon senso. E del bene di tutti.