Rialziamoci

È stata colpita al cuore l’Italia vivace, laboriosa, produttiva, quell’Italia che sa rimboccarsi le maniche, che non si arrende nelle prove.È l’Italia che tutti sentiamo nostra, quale che sia la collocazione geografica di ciascuno di noi nello Stivale, l’Italia dell’imprenditorialità diffusa, della qualità della vita dignitosa, della partecipazione attiva dei singoli e della società civile alle sorti comuni. Sin dall’inizio dell’evento sismico, le reazioni della gente e dei responsabili delle istituzioni ci avevano colpito per il loro coraggio e la fiducia nella ripresa immediata. Anche per questo, le forti scosse di ieri con l’atroce numero di vittime provocate ci sono apparse come una sfida terribile, che ha fermato in molti luoghi le attività appena ricominciate, quasi a voler smorzare o addirittura fermare la tenacia di un popolo avvezzo al lavoro e desideroso di ricostruire al più presto le condizioni di una vita normale.

Il sacrificio della vita è toccato a non pochi lavoratori, italiani e immigrati: questa comune appartenenza alla fragilità e alla morte ci ricorda la pari dignità di ogni persona umana, mentre evidenzia – se mai ce ne fosse stato bisogno – l’apporto prezioso che tanti cosiddetti extracomunitari stanno dando alla vita del Paese, fino al costo di sé. Anche loro sono l’Italia operosa e civile, questi uomini e donne fuggiti spesso dalla povertà e dalla fame per inseguire fra noi un futuro migliore, fratelli nostri in umanità e componente sempre più vitale del nostro sistema produttivo e civile. Don Ivan, poi, il sacerdote morto mentre cercava di portare in salvo la Madonnina della sua Chiesa parrocchiale di Rovereto, uno dei paesi della Bassa modenese maggiormente colpita dal sisma, è emblema di quella fede umile e profonda, che ha fatto e fa la forza di tanti Italiani, sorgente del dono di sé e della speranza fiduciosa anche nelle ore più difficili della nostra storia.

Davanti a queste vite spezzate, a quest’umanità generosa e piena stravolta dall’evento sismico, nascono naturalmente i tanti interrogativi sulle possibili responsabilità degli uomini: era prevedibile ciò che è successo? Erano adeguate le strutture abitative e quelle dei luoghi di lavoro? Le risposte non sono facili e non bisogna congetturare partendo da una fiducia eccessiva nelle possibilità umane di fronte alle forze della natura. Un esame approfondito andrà fatto per accertare la verità, con rigore e senso della misura e della realtà. Solo così l’esperienza potrà insegnare qualcosa per il futuro cammino. Ora occorre, però, uno slancio di prossimità solidale e intelligente: non solo lo Stato, ma l’intera comunità delle donne e degli uomini che fanno la nostra Italia devono sentire vicina la causa della rapida resurrezione dell’Emilia colpita.

A nessuno è lecito estraniarsi né dimenticare in fretta, come purtroppo spesso è avvenuto (e la vicenda del terremoto dell’Aquila dolorosamente insegna!). Occorre tener desta l’attenzione e organizzare la speranza.

Mentre geologi e protezione civile provvedono alle incombenze tecniche e operative, bisogna subito pensare all’interruzione delle filiere produttive che un’incertezza prolungata riguardo all’agibilità delle strutture produttive può ingenerare.

L’Emilia Romagna è una regione ad alta suddivisione delle filiere in specializzazioni di fase, di tecnologia e di prodotto: la competitività dei produttori finali spesso dipende anche dalle prestazioni, dalle caratteristiche qualitative e dall’efficienza dei fornitori. E’ assolutamente necessario che non solo le aziende colpite, ma anche quelle che sono con esse in relazioni di interazione funzionale vengano messe in condizione di non interrompere, o di riprendere al più presto la produzione. Il che può significare anche spostare la stessa temporaneamente al di fuori di un perimetro che circoscriva la zona temporaneamente non sicura. Un compito sicuramente eccezionale, da svolgere con strumenti non ordinari, contando magari sul contributo delle stesse associazioni imprenditoriali: un “prestito di capannoni” per dirla in modo semplice, che andrebbe velocemente organizzato utilizzando i non pochi immobili industriali al momento inoperosi nelle zone circostanti.

Non tutte le produzioni possono essere spostate: molte necessitano di impianti e attrezzature specifiche che non si possono facilmente rimuovere e ricollocare. La soluzione è quindi quella di riparare e ricostruire secondo criteri antisismici adeguati al livello di rischiosità rilevato. Questo è il compito per il futuro, da affrontare subito predisponendo le prospettive che lo renderanno possibile.
Perché ricostruire le fabbriche e le case costerà; ma ciò non porrà un problema insuperabile, poiché si tratta di investire in produzioni, e in case per coloro che vi partecipano, che sono in grado di produrre reddito e quindi di ripagare l’investimento. L’unico problema è la necessità di anticipare il capitale necessario. E neppure questo è un vero problema, in un Paese in cui il grande stock di risparmio accumulato è alla ricerca di collocazione sicura, che lo protegga da rischi monetari o di altro tipo. Si dia a questi investimenti una prospettiva certa di protezione e di ritorno, con adeguati strumenti fiscali, e ne deriverà un flusso di domanda aggiuntiva che non potrà che essere di aiuto, non solo per i terremotati.

Abbiamo sopra la testa la turbolenza finanziaria dell’euro e dei debiti sovrani, qualcuno entra nel tunnel della disperazione ma ora dobbiamo tenerci per mano, sentirci un popolo che lavora, che fa comunità operosa e accettare la sfida della metamorfosi dentro la crisi.

Inchiniamoci di fronte a questo popolo operoso della Via Emilia e non lasciamoli soli nel loro ricostruire paesi e capannoni. Che nessuno resti solo in questo momento difficile.

Ce la faranno e ce la faremo.

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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