Pubblico una interessante riflessione, che condivido pienamente, pubblicata sul Corriere della Sera di oggi – A cura di Paolo Conti
Mai la politica avrebbe potuto offrire spettacolo peggiore, più autoreferenziale, grottesco e incomprensibile ai cittadini. Soprattutto meno legato agli autentici interessi dell’azienda di cui il Palazzo si stava formalmente occupando: la Rai. Che era e resta, con tutti i suoi difetti ma anche i suoi pregi, il più vasto e articolato complesso mediatico-culturale di questo Paese.
Ieri, sull’arena della commissione di Vigilanza Rai che avrebbe dovuto votare i nuovi sette consiglieri d’amministrazione di competenza parlamentare, si è persino consumato uno scontro istituzionale senza precedenti tra il presidente del Senato, Renato Schifani, e il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Materia del contendere: la sostituzione di Paolo Amato, «dissidente» del Pdl che aveva annunciato un voto diverso dalla linea del partito (una preferenza per Flavia Piccoli Nardelli, animatrice dell’Istituto Don Sturzo) con Pasquale Viespoli di Coesione nazionale. Schifani sostiene di averlo fatto per evitare l’annullamento degli atti della Vigilanza, dopo il reclamo in Aula proprio di Viespoli. Fini ha parlato di «fatto inaudito» invitando Schifani a «chiarire» la tempistica della sostituzione. Alfano è insorto contro Fini, il Pdl contro il Pd che contestava l’allontanamento di Amato. Il Pd e l’Udc hanno chiesto a gran voce il commissariamento. Il Pd è entrato in rotta di collisione con il radicale Beltrandi, membro del suo gruppo, altro «dissidente».
In tutto questo, chi ha davvero parlato di Rai? Chi si è autenticamente posto il problema economico-politico di un servizio pubblico che sta vivendo una clamorosa crisi di bilancio e di identità? Chi ha discusso sulle soluzioni da adottare per frenare il calo di pubblicità (almeno 80 milioni in meno, alla fine del 2012 rispetto alle previsioni di fine 2011)? Chi ha riflettuto sull’allarme lanciato, ormai disinteressatamente, dal presidente uscente Paolo Garimberti che ha sottolineato la «debolezza editoriale» dei nuovi palinsesti autunno 2012-inverno 2013?
Nessuno. La Rai è rimasta ostaggio della politica che ha pensato alla politica. Cioè solo in termini di poltrone e di spazi di potere, di liti tra fazioni, di ragionamenti in vista delle elezioni politiche del 2013, di equilibri interni ai partiti, di cavilli e regolamenti. Se davvero ciò che riguarda la Rai è lo specchio del Paese, c’è da essere atterriti per l’immagine riflessa ieri da palazzo San Macuto, sede della Vigilanza Rai. Il presidente Sergio Zavoli aveva chiesto responsabilità: nessuno lo ha ascoltato. Il premier Mario Monti ha già indicato le sue scelte, designando sia la presidente Anna Maria Tarantola sia il futuro direttore generale Luigi Gubitosi, tecnici privi di ogni identità politica, forzando i tempi e attirandosi critiche: ma lo ha fatto proprio per sottolineare con la massima chiarezza l’urgenza di affrontare il nodo Rai. La politica no. Si è posta solo il problema di se stessa e dei suoi logori riti di potere. «Siamo un Paese vecchio, con tante cose da cambiare» ha detto lunedì scorso Cesare Prandelli. Una di queste, senza ombra di dubbio, è la perenne lite politica intorno alla cittadella Rai. Attenzione, però. Tra poco tutto potrebbe crollare. E resterebbe solo un mucchio di macerie da contendersi.