Con le primarie del Pd si è avviata ufficialmente la campagna per le elezioni della prossima primavera. La competizione che è emersa in quel partito tra due leader e due prospettive politiche è auspicabile che favorisca una chiarificazione competitiva anche all’interno degli altri schieramenti politici.
Tuttavia, se è bene che i leader politici si dividano sulle soluzioni da proporre ai nostri problemi, è anche bene che essi non si dividano sul riconoscimento di questi ultimi. Non ci possono essere dubbi che i problemi italiani abbiano a che fare con il declino economico e con l’indebitamento pubblico. Non è un’opinione il fatto che il nostro Paese continui ad avere una crescita economica negativa o che il nostro debito pubblico continui a salire. Nessun leader può rivendicare la guida del Paese se non riconosce i problemi nella loro crudezza. Tale crudezza dovrebbe spingere tutti i principali leader ad alcune basilari considerazioni politiche.
L’Italia non può sopravvivere mantenendo lo status attuale. All’interno dell’Ocse, siamo il Paese che ha tra i più alti tassi di disoccupazione giovanile (intorno al 27%, mentre la media Ocse è intorno 17%).
L’Italia ha tra più alti tassi di non-occupazione femminile (intorno al 46% delle donne non lavora, mentre tale percentuale è intorno al 24% nella generalità dei Paesi Ocse), tra i più alti tassi di corruzione pubblica e privata, tra i più alti tassi di fiscalità sulle imprese e sul lavoro, tra i più alti tassi di evasione fiscale (corrispondente a circa il 18% del nostro Pil) oltre ad avere il terzo più alto debito pubblico (dopo Giappone e Grecia). Dovrebbe essere condiviso da tutti i leader politici responsabili il fatto che la difesa dello status quo equivarrebbe alla legittimazione del nostro declino morale oltre che economico.
L’Italia non può riprendere a crescere attraverso misure di breve periodo. I nostri problemi, per essere risolti, richiedono un’azione continuativa per almeno una legislatura. Nell’Italia di oggi la lealtà reciproca tra le principali forze politiche è una necessità, non un’opzione. Per risolvere i nostri problemi strutturali occorrerà mettere in discussione interessi consolidati, rendite di posizione, corporativismi. Ciò creerà malcontento, resistenze, rifiuti, oltre che proteste legittime. Le riforme non si realizzeranno se il nuovo governo non saprà spiegare le ragioni della sua azione e se non saprà offrire una prospettiva positiva alle proteste legittime. Allo stesso tempo, le riforme non si consolideranno se l’opposizione userà strumentalmente il malcontento per guadagnare qualche voto nelle elezioni successive. Nessun leader politico responsabile dovrebbe speculare sulla necessità delle riforme anche se è legittimo che avanzi proposte alternative per promuovere queste ultime.
L’Italia non potrà ritornare a crescere senza un sistema decisionale riformato. La riforma del nostro sistema parlamentare è un’altra necessità. Nell’attuale legislatura, come è possibile che quasi 1/3 dei 630 membri della Camera dei deputati abbia cambiato appartenenza al gruppo parlamentare, alcuni di essi più di una volta? Oggi il Gruppo misto è divenuto una stazione di sosta nel passaggio da una raggruppamento parlamentare a un altro. Non si può andare avanti così. Dovrebbe essere condiviso da tutti i leader politici responsabili che subito dopo le elezioni della primavera prossima occorrerà avviare un processo di revisione costituzionale, legittimato dagli elettori sia all’inizio che alla fine, finalizzato a dare all’Italia un governo efficace e controllato.
Se l’Italia vuole crescere di nuovo, allora la competizione tra leader e partiti, pur dura, dovrà basarsi sul comune riconoscimento dei problemi strutturali che dobbiamo risolvere.