Perchè ancora le Regioni a Statuto Speciale?

In questi giorni si è parlato di spending review e poi, all’improvviso, è saltata fuori la notizia degli sprechi della Regione Sicilia. Non che fosse una novità. Ma a questo punto, alcune riflessioni si potrebbero fare, partendo da considerazioni ben più generali sulle Regioni a Statuto Speciale.

Quanto spendono queste Regioni, le quali mentre a causa della crisi tutti sono costretti a tirare la cinghia, proseguono nelle abitudini di sempre, assumendo migliaia di persone anche quando queste non servono? Le cifre indignano e nella preparazione della spending review si è deciso di tagliare i trasferimenti destinati a Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Friuli. Un segnale chiaro,  un modo per operare un taglio immediato   ed efficace.

Ma un conto sono i bilanci di previsione, un altro quelli consuntivi. Il governo taglia, ma non è detto che in Sicilia diano un taglio ai vecchi sistemi clientelari. In tal caso  rischiamo solo di veder aumentato il debito che le Regioni sprecone hanno nei confronti dello Stato e nient’altro. Gli sprechi sono continuati ad aumentare e a causa delle mancate riforme l’Italia ha rischiato e rischia la bancarotta.

In questo modo non si può andare avanti, gli sprechi riguardano tutta la Penisola e sulle Regioni a statuto speciale si deve fare un’ampia riflessione. E’ giunta l’ora di rivedere il sistema: alcune Regioni messe a dieta e altre che invece continuano a vivere nell’abbondanza. Nel corso degli anni non è che nessuno si sia mai reso conto che in Sicilia il concetto d’autonomia si era trasformato soprattutto in indipendenza dai bilanci e dal buon senso, ma chi lo ha capito ha preferito rinviare al futuro la decisione su come chiudere il rubinetto.

Se le agenzie di rating ci giudicano inaffidabili e ci retrocedono in serie B con quel che ne consegue dal punto di vista dei tassi del nostro debito pubblico (nonostante i misteri che si celano talvolta dietro a nche a queste agenzie), è anche perché quando si tratta di prendere un provvedimento, da noi  servono anni e poi non è detto che alla fine lo si faccia come si dovrebbe. Basta vedere cos’è accaduto con la riforma dell’articolo 18: se ne discuteva dal 2001 e dopo violente battaglie si è arrivati al 2012, qualunque sia la loro bontà. Stessa cosa probabilmente accadrà con le spese che hanno poco a che fare con la salute.  La spending review ha riscoperto il ruolo della Consip, cioè del centro unico di acquisto dei beni usati dalla pubblica amministrazione, Asl comprese. Peccato che invece di stabilire davvero una sola centrale ha lasciato in vita i tanti uffici regionali, i quali si comporteranno come hanno sempre fatto, ovvero non decidendo un solo prezzo per  un bene, in modo che sia uguale dalle Alpi alla Sicilia, ma prezzi diversi a seconda della Regione in cui l’acquisto avviene.

Ha senso il federalismo dei prezzi quando si tratta di un bene identico a Milano come a Palermo? Secondo me no. Così come non ha senso che gli enti locali, a seconda di dove sorgono, godano di trattamenti diversi.

Un tempo forse era giustificato l’aiuto a determinate Regioni di confine, per lo meno per tenere unita l’Italia. Ma oggi non è più così, non esiste più la necessità. Semmai c’è bisogno di eliminare trattamenti  di privilegio che sono incompatibili con il rigore. Abbiamo fatto l’Europa, imponendo a tutti i parametri di bilancio che piacciono alla Merkel. Beh, allora vediamo di fare anche l’Italia, imponendo a tutti le stesse regole.  Anche alla Sicilia e alla Val d’Aosta.

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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