Monti: la doppia posta in gioco

Niente trionfalismi. Per quanto finito bene, un vertice da solo non fa primavera. E la strada per uscire dall’emergenza euro resta lunga e ancora piena di ostacoli. In casa e fuori.
Con Mario Monti, però, l’Italia è tornata protagonista in Europa, ha ricominciato a giocare nel negoziato e anche a spuntare risultati. E’ stato così testardo da tenere sul tavolo il problema della costruzione (incompiuta) europea e del rischio euro nonostante le forti pressioni che lo spingevano a desistere.

Il collasso dell’euro sarebbe infatti inevitabile qualora cadesse il bastione italiano. La fine della moneta unica si trascinerebbe dietro, altrettanto inevitabilmente, quella del mercato unico.
Angela Merkel lo sa. Per questo, sia pure alla fine di un durissimo braccio di ferro, la cancelliera si è arresa all’evidente necessità di non respingere brutalmente al mittente le ragionevoli richieste avanzate da Italia e Spagna.

I tassi di interesse dei titoli sovrani dei diversi Paesi riflettono il giudizio dei mercati sui loro fondamentali (finanza pubblica, salute dell’economia, dinamismo nelle esportazioni, solidità del sistema bancario) ma dipendono, per una componente non piccola, dalla percezione che i mercati hanno proprio del rischio euro, del tasso di fiducia che riscuote la costruzione europea, del fatto che siano ancora tanti, troppi, a scommettere sulla fine della moneta unica.

Mario Monti ha chiamato tutti ad assumersi le proprie responsabilità, ha chiesto e ottenuto un impegno solenne a portare a zero questa percezione dei mercati perché Paesi come l’Italia che hanno imposto ai loro cittadini la medicina necessaria ma amara dei sacrifici non debbano anche pagare ulteriori costi per finanziare la raccolta dello Stato e, di conseguenza, di banche, imprese e famiglie sull’altare di una colpevole fragilità politica europea. La soluzione effettiva del problema non c’è, ma c’è la consapevolezza e l’impegno che occorre trovarla all’interno di un programma condiviso di Unione rafforzata, coautore Mario Draghi, che incide sul piano fiscale, finanziario (in primis vigilanza bancaria comune), economico e politico. C’è un risultato rilevante perché stabilisce, per la prima volta, il principio che il rischio euro non è un problema di questo o quel Paese ma è un problema europeo e, cioè, di tutti. Non si tratta di chiedere salvataggi ma di dire le cose come stanno e di dare un segnale preciso ai mercati. Si è deciso che bisogna mettere in moto adeguati meccanismi di intervento perché il problema c’è. Prima si negava, a volte con protervia, che il problema esistesse.

Il cammino dell’Italia resta difficile, si vince o si perde in casa, ma il disegno politico europeista esce rafforzato proprio grazie all’azione determinata del nostro governo. Non è poco. Dopo tante fumate nere, il vertice appena concluso segna un passo deciso nella direzione auspicata degli Stati Uniti d’Europa.

Doveva essere François Hollande il mattatore di questo summit che ha tenuto a battesimo il pacchetto per il rilancio della crescita europea, il chiodo fisso della sua campagna elettorale. In realtà il nuovo presidente francese per ora in Europa si muove con esitazione, alla ricerca di un posto al sole che ancora non ha trovato. Anche questo ha permesso a Monti di emergere facendo gioco di squadra con la Spagna contro gli estremismi di ogni tipo e colore.
Nel solco della sua tradizione per troppo tempo dimenticata, l’Italia ha restituito al club dell’euro una buona dose di ragionevolezza e moderazione, cioè gli ingredienti che hanno fatto l’Europa. Proprio la loro lunga assenza dal dibattito europeo ha favorito il dilagare della crisi. Forse da ieri un po’ di realismo e buon senso sono tornati di casa. Buon segno.

E veniamo a casa nostra. I fautori del rovesciamento del tavolo governativo e della corsa al voto si sono fatti ora silenziosi.

Quei pro-Monti, si potrebbe aggiungere, che per giorni avevano dovuto subìre la dura offensiva interna dei falchi anti-governo. Con Berlusconi ambiguo fra le due posizioni, finché all’ultimo, con quell’intuito realistico che è una delle sue caratteristiche, ha lasciato pendere la bilancia dalla parte dei pro-Monti.
Ora dunque si volta pagina. La legislatura farà il suo corso fino alla primavera del 2013 e si apre uno spazio di manovra per il premier. Il quale non è «debolissimo», come sostiene Roberto Maroni, un altro che desiderava ben altro esito per l’incontro di Bruxelles. Sotto certi aspetti si potrebbe dire che da oggi nasce un nuovo governo Monti, senza bisogno di «rimpasti» o di ritocchi. Nasce grazie alle circostanze, dal momento che la prospettiva di avere davanti alcuni mesi di lavoro si traduce di per sé in un elemento di forza e non certo di debolezza dell’esecutivo. E poi perché i partiti, tutti, devono rivedere i loro conti.

Il risultato di Bruxelles impone ora all’esecutivo di accelerare sulla via delle riforme strutturali interne. Si potrebbe dire che Monti è stato «rilegittimato» dall’Europa e questo equivale a un’iniezione di fiducia che dovrebbe imprimere alla sua azione lo stesso slancio dei primi mesi.
È, come si dice, una finestra di opportunità per il presidente del Consiglio. Ma è soprattutto un’occasione, forse l’ultima, per le forze politiche. Ora che i giochi sono fatti e che nulla impedirà al governo di coprire i prossimi otto-nove mesi, i partiti della non-maggioranza possono scegliere se dedicarsi alla mini-guerriglia parlamentare ovvero costruire due schieramenti capaci di definire la propria identità intorno al programma europeo. Lo stesso sulla base del quale Monti ha riottenuto la fiducia dei partner.

Sia il Pdl sia il centro-sinistra sono in ritardo rispetto a questo obiettivo, l’unico che permetterebbe alle forze politiche di presentarsi di fronte all’elettorato, nel 2013, con un profilo rinnovato e una proposta convincente.

articolo tratto da “Il Sole24Ore”

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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