L’unità europea ancora manca

Prendo spunto dall’incontro di ieri tra Monti e Cameron e dal primo discorso ufficiale fatto ieri dal francese Hollande per alcune riflessioni sull’Euro e l’Europa. Perché molti sono ancora i passi da fare per una effettiva unità.

Il vecchio continente è unificato da una moneta comune sottratta al controllo dei singoli Stati membri. Però disporre di una moneta unica non basta: impedisce il rimedio «sporco» della inflazione per fronteggiare i debiti ma facilita la speculazione internazionale.

Il rimedio? Un’Europa federale. Ma forse è impossibile. Uno Stato federale richiede una lingua comune. Difatti tutti gli Stati federali esistenti sono costituiti da componenti che si capiscono e parlano tra loro. La Germania parla tedesco, gli Stati Uniti e l’Australia l’inglese, il Brasile il portoghese, l’Argentina e il Messico lo spagnolo, e così. Se l’Europa diventasse uno Stato federale io mi potrei trovare sulla scheda di voto un candidato finlandese del quale non saprei nemmeno pronunziare il nome e del quale nessun europeo sa nulla. La sola piccolissima eccezione è la Svizzera, che però a livello di classe politica federale si intende benissimo. E trovo stupefacente che nessuno dei proponenti dell’Europa federale si renda conto di questo pressoché insuperabile ostacolo.

Tutti gli altri Stati si difendono quando i loro interessi vitali vengono minacciati con dazi e severi controlli doganali. Persino l’Inghilterra, con un piede dentro e un piede fuori dall’Europa dell’euro, resta liberissima di proteggersi con dazi sulle importazioni; e siccome mantiene la sterlina resta anche liberissima di stampare moneta. Lo stesso è ancor più vero per gli Stati Uniti, che per esempio hanno di recente protetto la loro produzione di acciaio.

In Italia le piccole imprese tentano di resistere alla crisi. Le nostre aziende di media grandezza in su, invece, tranne rari casi, continuano sempre più a fuggire dall’Italia (a meno di non poter utilizzare, restando qui, la manodopera sottocosto degli immigrati o anche dei clandestini). E calano pure gli investimenti in Italia da parte di Stati esteri.

L’Italia è un Paese la cui burocrazia è probabilmente tra le più lente, inefficienti e anche esasperanti della zona euro. Inoltre l’Italia è classificata tra i Paesi più corrotti, come dicevo qualche tempo fa in un articolo del mio blog. Senza contare che persino lo Stato paga i suoi fornitori anche con dodici mesi di ritardo. Infine abbiamo un cuneo fiscale (il prelievo del Fisco sui salari) davvero eccessivo. E anche questo non è certo un incentivo per attirare investimenti dall’estero.

Tirate le somme, la crisi dell’occupazione non verrà certo rimediata in un anno. E anzi temo che si aggraverà finché non cominceremo a proteggerci. D’altra parte non arrivo a intravedere una soluzione migliore alla politica delle porte spalancate di quella di una concorrenza vigilata e corretta da una forte autorità europea che sia flessibile e attenta alle emergenze.

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Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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