La classe dirigente (alla) siciliana si dimetta

Riparto da alcuni articoli pubblicati nel mio blog, L’Italia (non) è unita” e “Perchè ancora le Regioni a Statuto Speciale?” per ricollegarmi alla lettera di Mario Monti con la quale chiede al governatore della Sicilia di confermare l’intenzione di dimettersi entro il 31 luglio, era in incubazione da tempo.

La situazione finanziaria della Regione è, più che in bilico, alla deriva. E rappresenta uno dei dossier sui quali Palazzo Chigi sapeva di dovere intervenire. L’incontro con Raffaele Lombardo, che ha chiesto di essere ricevuto dal premier il 24 luglio prossimo, non cambierà l’atteggiamento del capo del governo. D’altronde, la prospettiva del fallimento rischia di avvicinarsi ogni giorno di più. E contraddice i tentativi di Monti di limitare la spesa pubblica, imponendo misure impopolari anche agli enti locali.
L’accusa al presidente del Consiglio di avere compiuto un attentato all’autonomia della Sicilia(!!!), riflette bene il malinteso di fondo sul quale crescono gli sprechi; e una mentalità che considera ingerenza delle autorità nazionali qualunque tentativo di riportare ordine nei bilanci. Gli applausi e le accuse arrivate dai politici dell’isola a Monti testimoniano lo scontro di interessi che domina quella realtà da anni. D’altronde, non si spiegherebbe altrimenti l’altalena di maggioranze di centrodestra o trasversali, numericamente invincibili, che si sono frantumate in pochi mesi provocando un’instabilità cronica.

Di queste maggioranze segnate dal trasformismo, Lombardo è stato a lungo il crocevia e il terminale. E il modo in cui viene difeso dalla nomenklatura locale lascia capire quanto siano profonde le incrostazioni del suo potere. Dire che è assurdo occuparsi della Sicilia mentre l’Italia sta crollando, significa perpetuare l’idea di una separatezza usata come alibi per impedire che le cose cambino. Eppure, le polemiche contro Roma possono avere udienza perché molti degli avversari di Lombardo non hanno grandi meriti da contrapporre.

L’ipotesi di un governo dei tecnici intenzionato a usare gli strumenti più efficaci e adeguati per raddrizzare le cose, a una parte della Sicilia fa paura. In un momento di crisi che offre un panorama di povertà accentuato rispetto ad altre realtà italiane, le resistenze sono istintive. Da tempo si parla di rimedi estremi come il commissariamento della Regione, di fronte a classi dirigenti che hanno chiesto aiuto allo Stato moltiplicando in parallelo le spese. Dimostrerò «la sostenibilità della finanza regionale», assicura Lombardo dopo una telefonata con Monti. Eppure la «lettera anomala» del premier, come l’hanno definita i difensori del governatore, si inserisce in pieno nell’anomalia siciliana.

Lo conferma la spaccatura tra Udc e Fli di fronte all’iniziativa del presidente del Consiglio. Il partito di Pier Ferdinando Casini gli dà ragione, ricordando col segretario regionale Gianpiero D’Alia che l’intervento montiano «può evitare il default e preservare i fondi europei di cui l’economia siciliana ha bisogno»: si teme un altro scossone dei mercati finanziari. E sono contento che per fortuna, in tempi non sospetti, abbiamo lasciato da parte Lombardo quando si parlava del Terzo Polo, o nuovo Polo.

Assurdo invece, a mio parere, il fatto che gli uomini del presidente della Camera, Gianfranco Fini, alleati di Lombardo, parlino di «atto lesivo dell’autonomia costituzionale» dell’isola, Regione a statuto speciale. Difficile prevedere l’esito dello scontro con un premier teso a evitare che la Sicilia si trasformi in una sorta di «Grecia italiana».

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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