Il primo scoglio per Letta e i rischi per l’Italia

Dopo la giornata delle illusioni, il brusco ritorno alla realtà. Dopo la fantasy, la cruda verità di un equilibrio politico che resta precario. L’altolà pronunciato da Silvio Berlusconi sull’Imu impone un immediato risveglio a chi lunedì scorso, assistendo al disteso dibattito sulla fiducia alla Camera, si era illuso che la bufera politica potesse ormai avviarsi verso il sereno stabile.

Non basta un discorso ambizioso, come è stato quello di Enrico Letta a Montecitorio, a far superare l’emergenza drammatica in cui è caduta l’Italia. Così come non bastano i tanti voti parlamentari, che sono arrivati da forze politiche con le spalle al muro, a dare solidità e stabilità all’esecutivo delle larghe (per ora) intese.

Meglio restare con i piedi per terra. Questo governo durerà, e potrà incidere sulla crisi sociale ed economica, solo se le forze politiche dimostreranno per più di qualche giorno quella responsabilità che hanno avuto solo in extremis nel farlo nascere. Difficile, a giudicare dalla partenza di ieri con l’immediato scontro sull’Imu. Ma molto dipenderà anche dall’accortezza del neo-premier.

Bene ha fatto Letta a correggere in parte la percezione di un programma tanto vasto da risultare irrealistico e irrealizzabile. E l’autorevolezza dimostrata nell’incontro con Angela Merkel, nel porre nel modo più giusto la questione della crescita in Europa, fa ben sperare sul ruolo che il governo potrà svolgere fuori dai nostri confini. Ma in Italia, a Roma, converrà navigare con realismo e concretezza tra i tanti gorghi e i tanti mulinelli di una situazione politica tutt’altro che stabilizzata.

Nel suo discorso di insediamento Letta ha richiamato la distinzione che il compianto Beniamino Andreatta amava fare tra le politiche e la politica. È quella distinzione che per gli anglosassoni è scontata, tanto che l’inglese prevede due parole distinte: policies e politics. Laddove le prime sono le politiche concrete messe in atto dal governo, mentre la seconda è l’arte, da noi spesso molto poco nobile, del confronto tra le forze rappresentative del Paese.

Farà bene, il presidente del Consiglio, a concentrarsi sulle prime. A dare il massimo di concretezza e realismo alla sua azione per risollevare l’economia del Paese. A fissare poche, ma realizzabili, priorità. A definire subito le linee di intervento, avvalendosi dell’apporto e delle idee di quelle parti sociali che nei problemi concreti sono immerse ogni giorno. A perseguire risultati, magari non tanto ambiziosi quanto quelli di un governo di legislatura, ma immediatamente percepibili da chi oggi soffre la crisi e cerca anche un piccolo appiglio cui aggrapparsi per tirarsi su.

Meglio lasciar perdere allora il libro dei sogni. Non sarà questo il governo della riforma degli ammortizzatori sociali, dell’introduzione di un reddito minimo di cittadinanza, di nuovi vasti interventi generalizzati sulle pensioni. Riforme tanto costose e politicamente impegnative da non poter essere fatte. Converrà concentrarsi su quanto si può realizzare davvero, subito, per ridare fiducia e speranza contro l’emergenza. Tutte cose che Letta ha messo in programma: una prima riduzione delle imposte sul lavoro, l’eliminazione delle nuove penalizzazioni sui contratti flessibili, l’individuazione delle risorse necessarie alla Cig in deroga, lo sblocco dei pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese, l’attivazione di un po’ di investimenti.

Tanto più il governo sarà capace di dare questi immediati segnali di fiducia (policies), tanto più potrà superare indenne le tensioni che arriveranno dalla politica (politics).

Ma qui tocca anche alla politica fare la sua parte, ai partiti o a quel che ne rimane. Il pugno sbattuto dal Pdl sull’Imu è solo il primo segnale di quel che sarà: Silvio Berlusconi non tarderà ad esercitare, ogni qualvolta lo riterrà utile, quella golden share che ritiene di aver acquisito sul governo; e sull’altro fronte i tanti piccoli indiani che si contenderanno nei prossimi mesi la leadership del Pd, non mancheranno di scaricare sull’esecutivo le loro tensioni interne.

Spingere, però, queste pressioni fino a mettere in discussione l’azione stessa del governo, significherà prendersi una responsabilità enorme davanti al Paese. Non basta invocare il ritorno della fiducia, come tanti hanno fatto in questi giorni di dibattito parlamentare, bisognerà anche dare buone ragioni perché alla fiducia si possa tornare. Altrimenti quei partiti saranno i primi a pagarne le conseguenze con la loro sparizione.

Articolo tratto da “IlSole24Ore”

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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