Il coraggio del futuro

Il coraggio del futuro come antidoto alla paura della recessione, paralisi di un intero Paese in cui la crisi economica – per tacere delle cose politiche – è già crisi sociale. Giorgio Napolitano ha guardato oltre, finalmente, a quell’eterno presente indotto dall’immobilismo dei partiti, fatto di scontri, meschinerie e disorientamento; di pochezza di idee, rese ancora più sterili dall’assurda impossibilità di pensare a un Paese in modo prospettico. Il futuro è conseguenza della stabilità e la forza morale del discorso del Presidente ne è sicura precondizione. Questione sociale e qualità del lavoro sono le nuove parole d’ordine del presidente che, ancora una volta, concentra la sua attenzione sui temi dell’economia reale.

Lo sforzo è concentrato a riattivare «lo sviluppo economico e renderlo equo e sostenibile». In Italia il 28,4% dei residenti è a rischio povertà ed esclusione sociale; su 100 giovani tra 15 e 24 anni ne lavorano 17, in Germania 47. Due dati, tra i molti citabili, che scolpiscono il progredire di una tragedia.
L’allarme delle forze produttive è arrivato forte e chiaro al Colle: «Non possiamo restare indifferenti dinanzi a costruttori di impresa e lavoratori che giungono a gesti disperati, a giovani che si perdono, a donne che vivono come inaccettabile la loro emarginazione o subalternità».

La convergenza strategica tra forze sindacali e rappresentanze dell’impresa sulle priorità dell’agenda economica è già una prima risposta, operativa e concreta, alla sollecitazione fatta ieri da Napolitano verso una «apertura nuova, un nuovo slancio nella società» con cui far ripartire anche il Sud, altrimenti destinato alla spirale dell’arretramento e dell’impoverimento. Le soluzioni sono nel documento dei saggi che sarà canovaccio per l’azione del prossimo Governo: l’azione di politica economica generale è essa stessa l’unica vera leva per la creazione del lavoro. Da qui la necessità di avere un Governo in grado di negoziare un allentamento dei vincoli del fiscal compact (ad esempio prendendo più tempo per arrivare al pareggio di bilancio) per liberare le risorse necessarie a organizzare soprattutto gli investimenti.

Il trasferimento di liquidità dal mondo della finanza e del cerdito a quello dell’economia reale resta la priorità. Per questo i saggi del Quirinale – ancora una volta – indicano lo sblocco dei pagamenti dei debiti della Pa verso i suoi fornitori. È il miglior modo per fare arrivare liquidità al sistema, ma dovrà davvero essere gestito con procedure immediate e non con la farraginosa burocrazia messa in campo dal decreto del Governo Monti. Senza contare che i 40 miliardi, finora promessi, ma ancora così lontani dall’essere accessibili, sono solo una piccola parte di quanto le amministrazioni devono alle imprese (100 miliardi). Fatto che impone di saldare al più presto tutto l’ammontare in sospeso.

Sul tema del fisco il dossier sul tavolo del Quirinale si affida all’applicazione della delega finora mai approvata (dove le riforme sono soprattutto regolamentari e di “costume”) senza avventurarsi in soluzioni operative. Non sembra prevista, tra le priorità, l’eliminazione dell’Imu; piuttosto sarà utile il dato di prima applicazione della Tobin Tax all’italiana che non ha avuto effetti sulla quantità degli scambi e segna, dunque, un primo positivo precedente verso forme di (blanda) tassazione delle rendite.

Resta il fatto che andrà alleggerito il carico su lavoro e impresa. Occorre ridurre l’Irpef sui redditi più bassi e, più in generale, il cuneo fiscale per non far perdere competitività alle imprese e al lavoro italiani. Oggi il fardello di tasse anomalo porta al paradosso di avere 20 punti in più di total tax rate sull’impresa rispetto alla Germania e al dato, drammatico, di buste paga tra le più alte come costo del lavoro e tra le più basse come salario netto tra i Paesi Ocse. Per arrivare al risultato può essere utile anche lo “scongelamento” del cosiddetto decreto Giavazzi sul taglio agli incentivi che la stessa Confindustria ha più volte proposto come “contropartita” a una riduzione dell’Irap.
Non sono le ricette di un capitalismo piagnone o questuante. Nel caso dei debito della Pa è semplicemente la richiesta del ritorno alla normale legalità, fondamentale per governare la normale vita economica in ogni regime e in ogni epoca. E nel caso del carico fiscale è un modo per riportare a pari condizioni di competitività i produttori italiani rispetto ai competitor nel momento in cui è fondamentale riuscire a conquistare commesse sui mercati esteri. Il risultato dovrebbero essere nuovi investimenti e più innovazione.

Quanto alla lotta all’esclusione sociale i saggi hanno suggerito forme di reddito minimo (non di cittadinanza) come razionalizzazione degli ammortizzatori sociali; dai primi calcoli si potrebbe immaginare uno strumento che potrebbe costare dai 3 ai 5 miliardi l’anno (contro un costo insostenibile di quasi 35 nel caso del cosiddetto reddito di cittadinanza). Il tutto al netto, naturalmente, delle risorse necessarie per chiudere la partita degli esodati e il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga già entrate nell’agenda delle priorità da rifinanziare alla prima riunione del prossimo Consiglio dei ministri che dovrà da subito decidere come trovare i 10 miliardi necessari. Il primo passo verso quell’idea nuova di futuro che faccia dimenticare finalmente la parola recessione.

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
Questa voce è stata pubblicata in Articoli tratti da quotidiani, Riflessioni personali e contrassegnata con , , , , . Contrassegna il permalink.

I commenti sono chiusi.