Niente è per sempre. Non il benessere né la democrazia nè la pace. Men che meno l’euro e l’Europa.
Anche se spesso si tende a dimenticarlo dando per eterni principi e realtà acquisiti nel nostro quotidiano, niente è per sempre, a meno che non si vogliano davvero difendere le conquiste fatte e si sia disposti a battersi per non perderle.
Per la prima volta nei suoi 60 anni l’Europa si trova davanti a un bivio mortale: se sbaglia strada, finirà per sfracellarsi. Sarà il suicidio collettivo di un progetto di integrazione grandioso e rivoluzionario, esemplare per molti nel mondo, soprattutto indispensabile per cavalcare da vincente la globalizzazione economica, finanziaria e politica.
Nessuno oggi può permettersi il lusso di affondare l’euro e l’Europa e illudersi di uscirne indenne. Nemmeno la grande Germania.
C’è meno di un mese per salvare la moneta unica, per trasformarne la crisi infinita e sempre più insostenibile da trampolino sul disastro a piattaforma per un grande balzo in avanti, verso l’unione di bilancio, l’unione bancaria e quella politica. In breve verso gli Stati Uniti d’Europa. Non sarebbe la prima volta che, deperita e con un piede nell’abisso, l’Unione ritrova la forza di ripartire. Succederà ancora?
Un manifesto per gli Stati Uniti d’Europa e l’entità della posta in gioco: tutto da perdere, niente da guadagnare dalle marce a ritroso, da prepotenze e arroccamenti nazionalistici, dalle derive protezionistiche, insomma dalla scomposizione più o meno deliberata del mosaico europeo.
Il tempo stringe. Superato lo snodo del referendum irlandese per la ratifica del fiscal compact, la corsa ad ostacoli passa domenica per le legislative francesi.
Tra la Germania che non vuole fare nemmeno un passo indietro, la nuova Francia di Hollande e il voto in Grecia (ci farà sapere se il Paese sceglierà l’euro e i sacrifici oppure se preferirà uscirne), ci si mette ora anche la Spagna di Rajoy, stretta tra il pesante risanamento dei conti pubblici e una crisi bancaria che, come è accaduto un anno e mezzo fa all’Irlanda, quasi certamente la costringerà a chiedere gli aiuti europei con diktat relativi.
Il tutto in attesa del vertice Ue del 28-29 giugno. Sul tavolo ci sono progetti ambiziosi ma per ora poco di concreto per uscire dall’emergenza crescita. Si discute di unione di bilancio, cioè di ulteriore rinuncia alle relative sovranità nazionali, e di unione bancaria, cioè di centralizzazione della sorveglianza e garanzia unica per i depositi da parte degli istituti di credito. In altre parole, delle basi per far compiere un nuovo salto di qualità all’integrazione europea.
Per quale Europa? Quella equilibrata e solidale delle origini o quella di oggi, dove vige la regola del più forte?
E’ inutile negarlo. Per tenere insieme l’euro Berlino è disposta a fare il meno possibile, al minor costo, il più tardi possibile e proprio se costretta dai mercati. Nell’attesa, lucra allegramente sui guai altrui finanziandosi gratis sui mercati e facendo shopping europeo a prezzi di saldo. Se non cambia, questa Europa a una dimensione, tutta e solo tedesca, è destinata al collasso. Politico, economico, democratico. Alle rivolte popolari. C’è meno di un mese per convincere la Merkel, in campagna elettorale già da un anno, ad ascoltare anche le ragioni altrui, a ritrovare un po’ di spirito europeo, una visione strategica del futuro.
In breve, a evitare di far del male a sé e agli altri.