Certificati medici: tanti buchi nella nuova disciplina

In queste settimane, uno dei temi di attualità è la nuova disciplina sull’obbligo o meno della certificazione sanitaria per i frequentatori di impianti sportivi e palestre.

Preciso di appartenere a coloro ai quali l’idea del certificato sempre e comunque piace molto: appare essere l’unica vera possibilità di poter dimostrare, anche nel caso in cui la certificazione non fosse ritenuta obbligatoria, che il gestore dell’attività abbia posto in essere tutte le cautele necessarie affinché l’evento lesivo, che ha originato la richiesta di risarcimento, non accadesse. E, pertanto, evitare richieste di risarcimento in caso di incidenti accaduti nei centri sportivi.

Ma il susseguirsi caotico delle norme mette a dura prova anche chi, come chi scrive, appare uno strenuo difensore del certificato.

Tre diverse discipline in nove mesi

Il decreto 24 aprile 2013 (meglio noto come decreto Balduzzi), emanato in virtù della delega contenuta all’art. 7 della legge 189/2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del venti luglio scorso, prevedeva al suo articolo tre che la certificazione dovesse essere rilasciata previa “misurazione della pressione arteriosa e l’effettuazione di un elettrocardiogramma a riposo, refertato secondo gli standard professionali esistenti”.

Tale disciplina rimase in vita quindici giorni in quanto subito emendata dall’art. 42 bis della legge 98/2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 20 agosto che prevede che siano i medici o pediatri di base “a stabilire, dopo anamnesi e visita, se i pazienti necessitano di ulteriori accertamenti come l’elettrocardiogramma”.

Quindi, detto accertamento diagnostico in quindici giorni da obbligatorio diventa facoltativo. Ma non finisce qui. Stavolta dopo 40 giorni entra in vigore l’art. 4 della legge 30.10.2013 n. 125 il quale prevede che i medici, al fine del rilascio del solito certificato per attività sportiva non agonistica, “si avvalgono dell’esame clinico e degli accertamenti, incluso l’elettrocardiogramma, secondo linee approvate dal Ministro della Salute”.

Detto esame torna dunque obbligatorio sulla base di protocolli che dovranno essere approvati dal Ministro della Salute.

Non siamo sicuramente in grado di valutare “quanto” sia necessario tale accertamento per la verifica dell’idoneità sportiva degli iscritti ai nostri corsi, ma la circostanza che non lo sappia neanche il legislatore credo debba far riflettere. Così come la formulazione usata.

Cosa accadrà fino al momento in cui non saranno approvate queste linee guida approvate dal Ministero? Continuerà a essere valida la precedente normativa che lasciava al medico la facoltà di imporre o meno l’elettrocardiogramma?

Rimangono validi quei certificati in circolazione e in corso di validità per i quali non era prevista neanche come facoltà la prescrizione dell’elettrocardiogramma? Sarebbe importante saperlo.

Chi può rilasciare il certificato

La norma individua le categorie di medici che possono rilasciare questi certificati: medico di base, pediatra di libera scelta o medico dello sport. Ma la società sportiva che riceve il certificato come potrà verificare che il medesimo sia stato effettivamente rilasciato da un medico appartenente ai gruppi autorizzati al rilascio?

E, nel caso in cui fosse stato rilasciato da medico non autorizzato a rilasciare tale tipo di certificazioni, quali conseguenze ci potranno essere e, in particolare, a carico di chi?

Nebbia fitta sulle attività ad alta intensità cardiocircolatoria

Ma il vero problema, a mio avviso, è altro ancora. Il riferimento è all’art. 4 del decreto Balduzzi, apparentemente nel pieno della propria applicabilità. Viene previsto, infatti, l’obbligo di un certificato corredato da diversi esami diagnostici per attività amatoriale o non agonistica posta in essere da soggetti “non tesserati” per attività ad alta intensità cardiocircolatoria.

Orbene, di detta attività ne fa un elenco esemplificativo (manifestazioni podistiche di lunghezza superiore ai 20 chilometri, gran fondo di ciclismo, di nuoto, di sci di fondo) citando, poi, l’applicabilità della disposizione anche per “tipologie analoghe”.

Quali esse siano non è dato sapere e non viene chiarito quale sia l’autorità preposta a dirlo. E potrà essere sufficiente il tesseramento a un ente di promozione sportiva per evitare tale incombente? Probabilmente no, ma sarebbe importante che qualcuno lo chiarisse agli operatori.

Anche in questo caso, Ministero della Salute, se ci sei batti un colpo!

Per approfondire

L’articolo qui pubblicato è un’estrapolazione dell’intervento dell’avvocato Guido Martinelli apparso su Il Nuovo Club n° 136, novembre-dicembre 2013.

Tratto da www.sportindustry.com

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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