Basta demagogia

Non è più il tempo di demagogia spicciola, sparando come si dice “nel mucchio”.

Esigere per esempio che lo Stato mobiliti le risorse europee non spese e, soprattutto, rispetti gli impegni presi sbloccando i suoi debiti con le imprese rientra nelle regole del gioco di un sistema costituito legalmente efficiente. Non è un favore. Diventa un sopruso inaccettabile, da Repubblica dei suddìti, se avviene il contrario.

Il capo azienda di Banca Intesa Sanpaolo, Enrico Cucchiani, invitando le imprese ad essere meno dipendenti dal credito bancario, ha spiegato che le banche possono comunque cambiare approccio e fare di più per le aziende meritevoli, oggi a secco di ossigeno finanziario.

La condizione è però di allarme al massimo livello. Le parole sono esaurite, e il fatto che non abbiano lasciato il posto alle urla conforta solo nell’immediato. Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha detto che con “il tempo è scaduta anche la nostra pazienza”. I toni sono piani, connaturati ad un industriale che del dialogo e della ricerca dell’intesa ha fatto da sempre la sua bussola. Ma non devono ingannare, il profilo di un Paese in affondamento rapido è chiaro. Con tutto quello che potrebbe conseguirne in termini di rovinosa caduta di una coesione sociale fin qui mai venuta meno dal secondo Dopoguerra in poi.

Fanno impressione i secchi numeri citati da Squinzi: in 50 giorni di “non governo” e di improduttiva ricerca di un esecutivo abbiamo buttato via circa un punto di Prodotto interno lordo.
Il fatto che l’Italia, seconda potenza manifatturiera d’Europa alle spalle della Germania, stia sul punto di collassare non è più occasione di dibattito. E’ un’emergenza che va affrontata per quella che è. Evitare che il manifatturiero (dà lavoro ad otto milioni di persone e rappresenta l’80% del nostro export), si spenga soffocato da un fisco predatorio e da una burocrazia tracimante anche il buon senso, non è un’opzione o una nebulosa sociologica. È un dovere.
In questo senso, le parti sociali possono fare molto ma non tutto. Possono cioè evitare di dividersi (e di scivolare nella conflittualità) cercando ogni intesa possibile sul campo, ciascuno facendo al meglio il proprio mestiere, in modo da fronteggiare l’emergenza. Con determinazione e spirito innovativo. Sotto questo profilo le imprese, dal reticolo del nuovo welfare aziendale “integrativo” alla recentissima proposta (e decisione) di un industriale come Diego Della Valle per destinare l’1% dei profitti alla solidarietà sul territorio, hanno già aperto nuovi canali.

Ma ogni sforzo potrebbe risultare alla fine inutile in presenza di un sistema lasciato politicamente alla deriva, senza un governo credibile che governi e con un Parlamento non in grado di lavorare in modo efficace. E con una burocrazia amministrativa che si chiude ulteriormente su se stessa a difesa del proprio potere di interdizione. Il tutto, in un’atmosfera da campagna elettorale permanente.
Per un Paese in decrescita, stroncato e sfiduciato da un’austerità che s’avvita su se stessa e sempre sul filo del rasoio in Europa e sui mercati, questo cocktail può essere deflagrante.

Se c’è, la politica batta un colpo, e anche molto forte.

Info su Alessandro Boggian

Presidente del Comitato Provinciale OPES Verona - Ente di Promozione Sportiva e Sociale riconosciuto dal CONI
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