Da tempo si è capito che la politica europea delle mezze misure non basta a fermare gli assalti dei mercati. Anche i gesti nazionali di buona volontà europeista – il senso di responsabilità dei greci, come prima degli irlandesi, e dopo dagli spagnoli con la resa alla richiesta di aiuti per le loro banche – non servono a fermare il contagio.
Quando la crisi di fiducia dentro l’Europa riesce a superare abbondantemente quella che dilaga fuori nel mondo intero, le buone notizie diventano inutili. Peggio, offrono nuovi incentivi agli speculatori ormai decisi a mettere continuamente a dura prova la tenuta del sistema Europa.
Troppi sono i punti deboli di questa Unione: una moneta unica priva di tutte le strutture necessarie per esserlo davvero, priva di una Banca centrale “normale”, di un’integrazione del settore bancario all’altezza, priva di un bilancio comune adeguato, priva di uno Stato cioè di un’Unione politica e identitaria.
A questo punto o si interviene tempestivamente per colmare tutte queste lacune o la storia dell’euro rischia davvero di saltare e con lei, prima o poi, tutta l’Europa.
Ma si tratta di un’impresa davvero difficile, perché va a collimare con diverse sensibilità, culture nazionali e conflitti di interessi radicati. Insomma è un’avventura che senza un progetto chiaro e, soprattutto, senza una volontà politica sincera e convergente di realizzarlo, rischia di inciampare ad ogni passo.
Di sicuro non basteranno una bella dichiarazione di intenti e l’impegno forte per il rilancio della crescita economica per spegnere la febbre dei mercati. Che ormai conoscono troppo bene l’Europa per accontentarsi dei suoi impegni di carta.
Primo test decisivo l’unione bancaria, cioè la risposta da dare alla crisi del settore. Che per ora è esplosa in Spagna ma nessuno si illude che possa fermarsi lì. Che ha un potenziale dirompente pari e anche superiore a quello della crisi del debito.
Altro test, altrettanto decisivo, l’unione di bilancio e politica che, nella proposta di Angela Merkel, prevede lo scambio tra più disciplina e controllo sulle scelte nazionali di spesa pubblica in cambio di maggiore solidarietà europea. Questa partita si giocherà soprattutto sull’esistenza o meno di un’intesa franco-tedesca.
Questo è lo scenario da evitare per salvare l’euro e l’Europa. Ma i mercati, che lo conoscono, ci ballano sopra con estremo profitto. In assenza di una prova di leadership coraggiosa e lungimirante, potrebbero vincere loro.
E che l’America non voglia salire in cattedra, dato che il più insistente nel sollecitare l’Europa ad affrontare la situazione con interventi immediati è stato in queste settimane il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Anche ieri ha parlato di “tempo di agire”.
Gli europei però, giustamente, non ci stanno a farsi mettere sul banco degli imputati e bene fanno le autorità del vecchio continente a ribattere con insolita durezza, affermando che non prendono lezioni da nessuno. L’origine della crisi in fondo è tutta americana e i contraccolpi dei subprime e di Lehman sull’economia e sui mercati mondiali sono stati ben più pesanti di quelli della crisi dell’eurozona.